La mappa

Il non-detto spesso racconta più del detto. Nel caso della dichiarazione di voto del Corriere della Sera cominciamo da ciò che non è scritto ma si legge benissimo. L’assenza nell’editoriale di Paolo Mieli di un nome come quello di Massimo D’Alema spiega molte cose. L’azionista di riferimento dei Ds non viene citato tra i leader del futuro e non si tratta di una casualità: D’Alema è lo skipper postcomunista da buttare in mare, la zavorra storica di un partito che vuol comandare e non essere telecomandato, con l’aggravante di aver difeso l’Opa di Unipol su Bnl e non aver storto il naso per un Ricucci qualsiasi che cercava di scalare il fortino Rcs.
Il capitano della tolda di via Solferino è un abile timoniere e ieri è giunto alla manovra finale alla quale da mesi si preparava: cannoneggia Berlusconi, issa la bandiera unionista con le insegne di Fassino e Rutelli, fregia la polena con la Rosa nel Pugno e offre una scialuppa di salvataggio a Fini e Casini.
Una tal sortita, fatta con un vessillo della stazza del Corriere della Sera, non passa inosservata nel mare magnum della politica italiana. I bersagli sono molteplici, ma per arrivare in posizione di tiro la navigazione è stata lunga e la rotta aggiustata più volte, secondo il soffio degli alisei.
La questione morale
Nella bonaccia estiva, il giornale della borghesia italiana, cattura un refolo di vento e leva l’ancora lanciando il 5 agosto la questione morale nel centrosinistra con un’intervista a Arturo Parisi. È qui che il professore di Sassari apre il regolamento di conti con i Ds ed è da qui che bisogna partire per capire quali sono i piani di navigazione del Corriere e dei poteri forti. Parisi apre il cahier de doléances, deplora l’idea di Carlo De Benedetti di accettare Berlusconi come socio in un fondo d’investimento, si lamenta della nomina del diessino Claudio Petruccioli alla presidenza Rai, punta il dito sull’operazione Unipol-Bnl e sega la Quercia dicendo «in nome del realismo hanno esitato nel farsi le domande giuste». Il Corriere sotto Opa fa sponda con la Margherita e trasforma la Quercia nella versione estate-autunno-inverno di un punching ball.
L’Ingegnere in campo
Il gioco si fa duro quando il 30 novembre del 2005 Carlo De Benedetti, editore di Repubblica, si presenta a un convegno dal titolo suggestivo («Idee per il partito democratico»), sfodera la clava, randella Prodi e liscia la coppia Rutelli/Veltroni. D’Alema non viene citato e in verità neppure Fassino.
La cosa non sfugge al sonar di Mieli che chiama l’Ingegnere e il 2 dicembre strappa un’intervista dove De Benedetti scoperchia il pentolone: «Prodi è l’amministratore straordinario del condominio», ma «il futuro è di Rutelli e Veltroni».
Romano Prodi bofonchia, ma l’asse Corriere della Sera/Repubblica si salda e da questo momento le due corazzate dell’editoria navigheranno appaiate verso la meta del Partito democratico di cui De Benedetti ha già prenotato la tessera numero 1.
Rutelli affonda l’Opa
L’inverno della sinistra si fa sempre più gelido, politica e finanza si intrecciano, la vicenda Unipol diventa sempre più incandescente, le frizioni tra Margherita e Ds si moltiplicano ed è ancora il Corriere della Sera a fare da portaerei per un attacco mare-aria di Francesco Rutelli. Il leader dei Dl il 20 dicembre 2005 si trasforma in ragioniere e spiega che i suoi dubbi sulla scalata Unipol/Bnl «sono di natura operativa, non certo ideologica. In sei mesi nessuno mi ha ancora spiegato se l’Unipol ha raggiunto o meno il livello di capitalizzazione necessario per mangiare il boccone Bnl quasi quattro volte più grande. Se Consorte non ha avuto le autorizzazioni è questo il motivo oppure l’intervento di diabolici avversari?».
Il patto Mieli-Mauro
La situazione sembra sull’orlo della tracimazione, Gianni Consorte è sotto schiaffo giudiziario, il gioco dell’Opa fermo al primo giro e se i compagni dell’assicurazione stanno male, anche i Ds ormai non stanno tanto bene. Ma c’è una exit strategy e viene alla luce quando Paolo Mieli e Ezio Mauro, come ai bei tempi della Stampa, si presentano in coppia sincronizzata a un convegno della Margherita dal titolo chiaro: «Dalle primarie al Partito democratico». Quel Partito democratico che per Mieli e Mauro non può avere «i postcomunisti» come protagonisti ma - come aveva anticipato il giorno prima con un altro editoriale - «formazioni unitarie di profilo europeo, in grado di raccogliere, ognuna, più del 35 per cento». È questa la ricetta per scrivere il the end su quella che Mieli chiama «l’anomalia Berlusconi» e «la degenerazione dei collateralismi». È il 18 dicembre, lo tsunami di Unipol sta montando, ma la Quercia continua nella linea dalemiana del giapponese che combatte solitario nel Pacifico.
Abbiamo una banca
Passa il Natale, Fassino va in vacanza, il Giornale pubblica la sua telefonata con Consorte. Quella frase, «abbiamo una banca», diventerà l’incubo della Quercia per i giorni a venire. Da quel momento il caso Unipol diventa un problema non più gestibile dai poteri forti (e dai gruppi editoriali) con la tattica dello stop & go. Dopo pochi giorni si passa direttamente allo stop, la vicenda sparisce, i Ds si autoriducono a miti consigli, l’Opa di Unipol finisce a carte quarantotto.
Uomini nuovi
Da questo momento in poi il Corriere della Sera riprenderà la rotta per avvicinarsi all’ultima manovra: sparare palle di cannone contro il governo, appoggiare il centrosinistra e dettare l’agenda politica. Un’operazione che per riuscire deve contare sull’appoggio della Confindustria di Montezemolo e del sistema bancario, fin dal suo vertice, Bankitalia. E se la rottura con Confindustria è consumata platealmente in pubblico e privatamente durante una cena tra Berlusconi e Montezemolo, la posizione del Governatore Mario Draghi è ancora in fieri, anche se il profluvio di pagine dedicate proprio dal Corriere della Sera all’intervento di Mario Draghi al Forex, ha insospettito chi in questa mossa vede il tentativo di portare anche la pedina di Palazzo Koch dalla parte della scacchiera di via Solferino.

Una scacchiera dove si muovono solo «uomini nuovi»: Rutelli, Fassino (più in là Veltroni), Montezemolo, Draghi e i «resti» della Cdl, Fini e Casini. Senza Berlusconi, senza i postcomunisti, con una meteora chiamata Prodi e soprattutto con una scacchiera e un solo giocatore: il Corriere di Paolo Mieli.

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