Roma - «Non vogliamo sostituirci alla politica». Non vogliamo «creare contrapposizioni». Il messaggio forte dei promotori del manifesto delle imprese, volutamente ripetuto, ieri è stato questo. Ufficialmente. Emma Marcegaglia per Confindustria, Ivan Malavasi per Rete Imprese Italia, Giuseppe Mussari per le banche (Abi), Fabio Cerchiai per Ania (assicurazioni), Luigi Marino per l’alleanza delle cooperative, presentano un programma in cinque punti che si propone di rilanciare l’Italia e che incassa «attenzione e rispetto» da parte del ministro del Welfare Maurizio Sacconi, senza però convincerlo, in particolare alla proposta di patrimoniale da 6 miliardi. Nella sede romana di Rete Imprese Italia i promotori arginano le domande dei giornalisti che chiedono se i firmatari sono d’accordo con le elezioni anticipate «alla spagnola». «No, no, non stiamo dicendo questo», risponde Marcegaglia: «Non spetta a noi dire che il governo deve cambiare ma diciamo che il momento è complesso e c’è una grave urgenza». Una «spirale» a cui «non si può assistere inerti» - aggiunge Malavasi - Sono a rischio anni e anni di sacrifici». «Non vogliamo che il governo interpreti il nostro documento come sfiducia nell’esecutivo», sottolinea Marino. «Non siamo qui per mettere in crisi il governo», chiarisce Mussari.
Ma sullo sfondo, nonostante i propositi collaborativi, c’è una sorta di ultimatum, almeno da parte dell'associazione degli industriali, che la presidentessa ieri ha spiegato così: «Nell'ultima giunta di Confindustria, la delega che mi è stata data è di portare avanti proposte coraggiose. Se queste non andranno, mi è stata data la delega di non stare più ai tavoli con il governo». Marcegaglia ha poi precisato che questa è una cosa che riguarda viale dell’Astronomia, sono parole riferite a nome e per conto degli industriale e non dei promotori del manifesto. Ma l’eventualità esiste, il mandato c’è: se non arriva il «coraggio» da parte del governo, fine della collaborazione.
Più che coraggiose, alcune delle proposte del manifesto delle imprese sono per il ministro Sacconi non praticabili. La patrimoniale è posta solo come scopo «per abbattere Irap e Irpef», precisa la presidentessa di Confindustria: «Le nostre proposte prevedono sacrifici ma anche vantaggi». Chiarisce di essere contraria all’innalzamento delle tasse, ma questa formula, che prevede un prelievo dell’1,5 per mille sui patrimoni mobiliari e immobiliari per redditi superiori al milione e mezzo di euro, secondo Sacconi «arriverebbe a colpire una larga platea di persone e di famiglie, essendo l’Italia un Paese di proprietari, dalle prime case ai titoli di Stato». La distribuzione di questi 6 miliardi su Irap e Irpef, «avrebbe effetti poco percettibili». E la riforma delle pensioni così come prevista dalla proposta, produrrebbe «molti più oneri». Il documento «non affronta poi il tema del rapporto tra banche e imprese». In ogni caso, «alla fase di ascolto» dovranno seguire decisioni «per il bene comune e non di singole parti della società», chiarisce il ministro.
Oltre alla revisione dell’Irpef sui redditi più bassi e a più decise riforme del fisco in generale e sulle infrastrutture e sull’energia, i promotori hanno insistito in particolare sulle liberalizzazioni e sulla necessità di vendere il patrimonio immobiliare degli enti pubblici. Marcegaglia ha spiegato come l’incentivo per i Comuni a dismettere il patrimonio potrebbe essere la possibilità di non inserire «nel patto di stabilità i proventi delle privatizzazioni».
Dal governo arriva un altro commento positivo, più incoraggiante di Sacconi: «Accettiamo la sfida - risponde il ministro per lo Sviluppo Economico Paolo Romani - Continuiamo a lavorare insieme ai tavoli».
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