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"Ma il marchio del Pd è mio e non lo vendo"

Un imprenditore di Padova ha registrato il nome nel 2006. Ora minaccia battaglie legali contro Ds e Margherita

"Ma il marchio del Pd è mio e non lo vendo"

Milano - Il Partito democratico esiste già e nulla ha a che vedere con Ds e Margherita. È nato a Padova un anno fa, era l’11 ottobre 2006, nello studio del notaio Roberto Doria. Dal 3 settembre scorso ha anche un marchio registrato all’ufficio brevetti della Camera di Commercio di Padova. Che non è in vendita.
Parola, e carte alla mano, di un agguerrito signore di 63 anni, Gianfranco Danti, professione imprenditore, una decisa «avversione per falci e martelli», un comune sentire, se mai, «con le riforme proposte da Forza Italia e Lega Nord», e una sfida che è determinato a vincere: «Potranno chiamarlo Partito democratico nuovo, o Partito democratico due, come vogliono, ma non si azzardino a chiamarlo Partito democratico, perché quel nome è mio». Suo e di altri 68 tesserati in Veneto, spiega, all’urlo di siamo piccoli ma cresceremo: «Entro fine 2007 apriremo sezioni in Lazio, Calabria e Sicilia, e nel 2009 saremo pronti a presentarci alle elezioni europee. Se lorsignori si ostineranno a usare il nostro nome, noi apriremo contenziosi in ogni sede, anche a livello europeo». I vertici ulivisti sono avvertiti, del resto Danti s’è preso la briga di far arrivare l’informazione sia a Enrico Letta sia a Walter Veltroni attraverso due consiglieri provinciali di Margherita e Ds. «Sono allo stesso tempo incuriosito e preoccupato, questa proprio non me l’aspettavo», ammette il dl Mariano Schiavone, che da una ventina di giorni aspetta risposte da Roma.
Spiega Danti che la scelta del nome era partita dalla considerazione «che noi siamo democratici per davvero. Volevamo creare un partito sul modello di quello americano, o del Labour inglese. Il nostro simbolo è una bandiera blu con una stella gialla al centro, un richiamo all’Europa unita». Quanto alla scelta dello schieramento alle elezioni, è presto fatta: «Potremmo anche affiliarci al Partito democratico, se non si chiamerà così e se non ci saranno alleanze con la sinistra radicale, ma condividiamo di più le riforme proposte dal centrodestra, dal federalismo alla giustizia». Libertà, iniziativa, progresso, si legge sul sito internet del Partito democratico «quello vero». Punto primo del programma la riduzione del 50 per cento dei dipendenti pubblici. Come? Soluzione ingegnosa: «Se la metà degli statali, circa due milioni di persone, rinunciasse al proprio posto, lo Stato risparmierebbe circa 100 miliardi di euro all’anno, che potrebbero essere utilizzati per aiutare queste persone ad avviare attività in proprio con una tassazione agevolata per dieci anni». In generale, la fiscalità dovrebbe basarsi su tre sole imposte, gli eletti dovrebbero rinunciare a ogni privilegio durante e soprattutto dopo il mandato, quanto all’immigrazione: «Si entra dalla porta principale, ci si adegua esclusivamente alle nostre leggi, se si commettono reati si viene immediatamente espulsi». Molto poco di sinistra, in effetti.
E adesso che succede? Danti: «Non mi risulta che Fassino o Rutelli abbiano depositato alcunché, esiste solo un comitato costitutivo. Significa che noi siamo arrivati prima, e che loro dovranno rinunciare, o incorreranno in sanzioni penali». Si accettano offerte? «Al massimo potranno offrirsi di applicare il nostro programma, perché il nostro partito nasce per cambiare questo letamaio, non per avere poltrone.

E non c’è cifra che tenga, sia chiaro: il marchio non è in vendita».

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