Marchionne: «Essere trattati così è osceno»

RomaSe al referendum dovessero prevalere i «no» all’accordo per il rilancio di Mirafiori, Fiat passerà al piano B. Anzi - ha chiarito senza troppi giri di parole l’amministratore delegato Sergio Marchionne - l’azienda sceglierà tra tanti piani B che ha ancora nel cassetto. E a Detroit qualcuno potrà festeggiare. In altre parole non è ancora rientrato il rischio delocalizzazione per lo stabilimento simbolo dell’auto italiana. Se il referendum non raggiungerà la maggioranza di voti e se quindi dovessero prevalere le ragioni della Fiom - ha spiegato Marchionne mentre si trovava al Salone dell’Auto di Detroit - ci sono «moltissime alternative» per l’azienda. «Con il 51% il discorso si chiude e l’investimento si fa». Senza, «salta tutto e andiamo altrove. Fiat si sta assumendo rischi enormi, ha portato un altro costruttore in questo Paese. Essere trattati così in Italia è veramente osceno».
L’Ad non fa la lista dei concorrenti di Torino, ma qualche nome lo accenna. Niente Est Europa, né Sudamerica. Quindi il problema non è il costo del lavoro. «Venerdì scorso - ha spiegato - ero in Canada, a Brampton, per lanciare il Charger della Chrysler. C’è un senso di riconoscimento per gli investimenti che abbiamo fatto là, stanno aspettando di mettere su il terzo turno. Ci hanno invitato a investire e ad aumentare la capacità produttiva. Trovo geniale che la gente voglia lavorare e fare anche il terzo turno, sei giorni la settimana. È una disponibilità incredibile. In Europa questo è un problema. Qua ci sono moltissime altre alternative dappertutto, Brampton è una possibilità, come Sterling Heights (lo stabilimento Chrysler del Michigan, ndr.). Aspettiamo di vedere cosa succederà giovedì e venerdì e se il referendum non passerà ritorneremo a festeggiare a Detroit».
Marchionne e il presidente della Fiat John Elkann hanno fatto sapere che seguiranno le votazioni da Torino, ma l’accenno al tifo che gli operai delle fabbriche americane stanno facendo per il fallimento dell’accordo è chiaro. E non è piaciuto ai sindacati che hanno detto sì all’intesa su Fabbrica Italia, in primo luogo Fim-Cisl e Uilm. La richiesta di Marchionne è «la piena utilizzazione degli impianti. Chiede di decidere rapidamente la produzione, non vuole perdere occasioni», spiegava il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, mentre Giovanni Contento della segreteria Uilm ribatteva: «Cerca alibi per andarsene e noi abbiamo firmato proprio per non dargliene».
Incertezze di una trattativa difficile e importante. Chi invece non manifesta incertezze è la Fiom di Maurizio Landini. Susanna Camusso, segretario generale della Cgil vorrebbe ancora che mettesse una Firma tecnica all’intesa, che gli permetta di restare a trattare in azienda. Ieri, la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia è tornata a chiedere alla Fiom di firmare, ma Landini considera «la vertenza ancora aperta».
Una partita ancora tutta da giocare, tanto che ieri Landini ha lanciato un doppio avvertimento. Uno rivolto al Partito democratico e l’altro a tutto il sistema delle imprese. Al Pd ha chiesto di prendere una «posizione univoca» sulla vertenza. Una secchiata d’alcol sul dibattito, già incandescente, tra le diverse anime del Partito democratico, che non ha sortito l’effetto desiderato. L’ala moderata si è infuriata, prima con Landini. Poi, fuori dall’ufficialità, anche con Pier Luigi Bersani. Il segretario del Pd nei giorni scorsi aveva accettato la richiesta della Fiom di un incontro sulla Fiat. I moderati hanno fatto notare che è un errore incontrare ufficialmente il sindacato schierato per il «no» prima del referendum e Bersani ieri è stato costretto a invitare anche gli altri sindacati. Più tardi anche Massimo D’Alema, è stato costretto a stoppare la Fiom, precisando che il Pd non parteciperà al voto.
Il secondo avvertimento di Landini è rivolto a tutte le imprese. Lo sciopero generale della Fiom del 28 gennaio è solo un assaggio.

«Se altre aziende pensano di fare come la Fiat, devono sapere che si aprirà un conflitto senza precedenti». E, magari, anche ad altri verrà la tentazione di delocalizzare. Ma questo il segretario della Fiom non l’ha detto.

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