Roma - Tutti - o quasi - a testa bassa contro Sergio Marchionne. Destra e sinistra si sono ritrovati dalla stessa parte della barricata nel condannare il manager. Toppo straniero e ingrato; nella migliore delle ipotesi un pessimista, poco incline a replicare i riti ai quali sarebbe vincolato da uno dei suoi due passaporti. Un po’ come il marziano di Buzzati, l’amministratore delegato di Fiat auto è stato scaricato dai suoi ex sostenitori. A partire da Pier Luigi Bersani. Aveva lodato la precedente uscita («il Paese ha perso il senso istituzionale, la bussola è partita, qualcuno ha aperto i cancelli dello zoo e sono usciti tutti»), ma di fronte al «la Fiat senza l’Italia farebbe meglio» e le conseguenti annotazioni sui problemi strutturali del Belpaese ha rinculato: «A Marchionne piacerebbe avere costi di produzione cinesi in un sistema europeo. Io dico che dobbiamo avere in testa l’Europa». Estremizzazione del pensiero del manager che Bersani usa per lanciare la sua ricetta, che è quella della Cgil: norme per regolare la rappresentanza sindacale e un ritorno alla centralità contratto nazionale.
Ma l’iscrizione al partito anti-Marchionne che ieri ha fatto più rumore è stata quella di Gianfranco Fini. Il presidente della Camera ne ha fatto una questione di orgoglio nazionale e di coerenza: «Mi sembra che Marchionne ieri abbia dimostrato di essere più canadese che italiano: lui ha detto una cosa che è naturale se viene detta da un top manager non italiano». Ed è un «paradosso che dica a noi, alla classe dirigente, attenzione perché non abbiamo più la capacità di competere». Il paradosso è tutto nel sostegno di stato del quale ha goduto la Fiat negli anni passati: «Se è ancora un grande colosso è stato perché c’è stato il contribuente italiano a garantirlo».
Quasi un’invasione di campo, su un terreno che Italia dei Valori presidia da tempo, tanto che Antonio Borghesi, deputato dipietrista si è polemicamente congratulato con il presidente della Camera: «Sembra che Fini si sia finalmente svegliato, non è mai troppo tardi».
Per una volta, dalla stessa parte di Fini, la Lega Nord, che anche ieri ha contestato a Marchionne gli aiuti di stato per bocca del ministro per la Semplificazione, Roberto Calderoli («gli italiani, e in particolare la Padania, senza la Fiat in questi anni sarebbero stati meglio»).
Un po’ meno drastico il ministro alla Pubblica amministrazione Renato Brunetta. «Marchionne ha visto, con alcune battute, il bicchiere mezzo vuoto. È bene ricordargli anche il bicchiere mezzo pieno». Cioè il voto della maggioranza dei lavoratori di Pomigliano a favore dell’accordo. E gli ammortizzatori sociali in deroga, sui quali si è impegnato l’esecutivo.
Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, che domenica aveva sottolineato l’impegno di alcuni sindacati e del governo per la Fiat, ieri ha spiegato che un problema strutturale c’è. In Italia si è persa «molta grande impresa». Sul fronte della competitività e della produttività del lavoro, è «vero che nel nostro Paese la grande impresa ha trovato più difficoltà».
Per trovare qualcuno che condivida in toto le posizioni di Marchionne bisogna restare nel Pdl. Pro ad di Fiat, il portavoce Daniele Capezzone e Sandro Bondi, ministro della Cultura e coordinatore del Popolo delle libertà: «Se l’Italia avesse ancora una classe dirigente nazionale degna di questo nome e dei leader politici autorevoli, si interrogherebbe a fondo sulle affermazioni di Marchionne, che chiamano in causa i problemi veri con i quali tutti dovremmo confrontarci secondo uno spirito di cooperazione e non di conflitto. Ignorare o peggio polemizzare con una battuta paradossale quanto allarmata di Marchionne significa far finta che i problemi non ci siano e che tutto possa continuare come nel passato». Giudizio in contrasto con quello di un altro coordinatore del Pdl, Fabrizio Cicchitto, che ha bollato le posizioni di Marchionne come «estreme», a rischio di «reazioni estreme da parte dei sindacati. Marchionne ha fatto il passo più lungo della gamba».
Il giudizio sulla Fiat taglia trasversalmente tutti i partiti. Anche dentro Futuro e libertà coesistono sensibilità diverse.
Adolfo Urso, a differenza di Fini giudica positivamente le parole di Marchionne, a patto che il suo sia stato «uno sprone per fare insieme le riforme necessarie e non una giustificazione per chiudere Pomigliano d’Arco o bloccare gli investimenti»- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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