La Margherita pianta i romani in Liguria

Il vincitore del Collegio 10: «Che non si sognino di offrirmi un posto da sottosegretario, io me ne torno a casa»

La Margherita pianta i romani in Liguria

«Ma perché, lei è sorpresa? Io molto meno, le assicuro». Stefano Zara pare amareggiato ma, lo giura, è «sereno». Dice che lui non aveva chiesto garanzie, né i partiti gliene avevano offerte. Quindi «amici come prima». Gli amici dell’Unione, Ds e Margherita, hanno cancellato il suo nome dal Parlamento nel giro di sedici mesi e due giorni. Arrivederci e grazie, dopo che erano stati i Ds a cercarlo insistentemente affinché mollasse tutto a Genova e corresse a Roma, e la Margherita a ospitarlo nel gruppo alla Camera. Lui non aveva voluto la tessera del partito, e il partito, almeno in Liguria, aveva un po’ storto il naso, e forse certe cose si pagano. Sedici mesi di legislatura sempre presente in aula, «ero il più ligio», non sono bastati a ritagliargli un posto nella nuova legislatura, potenza di una corsa all’ultimo posto e guai a chi se lo piglia. Erano i tempi difficili della conquista del Collegio 10. Il centrosinistra si mise a caccia di un nome forte quanto moderato per impossessarsi del fortino bianco, là dove fino ad allora era stata la Casa della libertà a vincere la sfida, da Alfredo Biondi a Gianfranco Cozzi. Pensa che ti ripensa e poi eccolo, l’uomo giusto da presentare agli elettori di Foce, Albaro, Sturla. Presidente degli industriali, mica operaio. Amico di Romano Prodi, già impegnato nel 1996 a costruirne il programma di governo. Uno che fra l’altro non avrebbe fatto troppo infuriare la Margherita che rivendicava di poter mettere il cappello sul candidato contro lo strapotere dei Ds.
Lui si era fatto corteggiare un po’ ma nemmeno troppo. Subito dopo ci aveva creduto. Una campagna elettorale contro Roberto Suriani dell’Udc durante la quale si era molto speso, portando i suoi quasi 70 anni ai mercati il mattino e ai dibattiti la sera. Aveva lasciato la presidenza degli industriali, subito. Più tardi, una volta eletto e inserito nella commissione Attività produttive della Camera, si era disfatto anche di ogni ruolo nella sua azienda, «sa com’è, il conflitto di interessi». Soprattutto, più galantuomo degli amici dei partiti che lo avevano cercato, non aveva chiesto garanzie «per il dopo»: «Vado a Roma volentieri, poi decideranno i partiti». E i partiti hanno deciso, eccome.
Le liste ufficiali dicono così. Al Senato: per i Ds capolista Graziano Mazzarello, dalla Liguria entreranno anche Andrea Ranieri e Sabina Rossa la figlia di Guido l’operaio ucciso dalle Br, al quarto posto c’è Lorenzo Forcieri, ha una semideroga nel senso che se passa buon per lui, se no magari fa il sottosegretario. Per la Margherita capolista Lamberto Dini, segue il romano Luigi Zanda, poi lo spezzino Egidio Banti, il segretario ligure Rosario Monteleone è al quarto posto, non ce la farà ma gli è stato garantito nero su bianco un ruolo di sottosegretario, così come a Nando Dalla Chiesa. Il listone alla Camera prevede invece il tandem Mussi-Realacci in testa alla lista e poi Italo Tanoni della Margherita, Roberta Pinotti, Andrea Orlando e Massimo Zunino dei Ds, Romolo Benvenuto della Margherita e Aleandro Longhi dei Ds. Da notare, comunque, che la Margherita ha piazzato innanzi tutto quattro «foresti», Dini e Zanda al Senato, Realacci e Tanoni alla Camera.
«I nomi li ha fatti la commissione durante la direzione nazionale. A Zara forse proporranno l’ottavo posto» ha detto telegrafico ieri Monteleone. Lui risponde così: «Ah, ah, ah». Torna a Genova e pensa di darsi al volontariato, Zara, altro che ottavo posto. E altro che ruoli da sottosegretario, ci mancherebbe ancora: «Non me lo hanno proposto perché non sanno che con me non si sarebbero neppure potuti accostare a una proposta del genere, non accetterei mai, non fa parte della mia storia e non chiuderò la mia storia così». Perché, spiega: «Alla mia età posso permettermi di lavorare per la causa, per gli ideali, e non per i posti. E alla mia età, ormai, ho il senso della storia». L’esclusione? «L’avevo messa fra le cose ultrapossibili, sono sereno».
Nessuno lo ha avvertito prima. Solo ieri pomeriggio, a giochi fatti, gli è arrivata la telefonata di Pierluigi Castagnetti il capogruppo della Margherita alla Camera. «Con lui ho lavorato molto bene, per me è stato un punto di riferimento - dice Zara -. Credo che si sia speso per la mia ricandidatura, se non altro perché sono il parlamentare con il più alto numero di presenze negli ultimi 16 mesi, come capogruppo credo che abbia molto apprezzato se non altro la mia diligenza».
Rifarebbe tutto Zara, «non fosse altro che la campagna elettorale era stata fantastica». L’esperienza in Parlamento gli è molto piaciuta, dice, anche se non è che negli ultimi mesi «abbiamo prodotto moltissime leggi nella mia commissione». Il futuro si vedrà. «Io mi metto a disposizione, se avranno ancora bisogno di me mi cercheranno. Ho lasciato tutto, anche il lavoro, quindi credo che mi piacerebbe impegnarmi nel volontariato».

Proprio ieri, sulla newsletter che aveva voluto darsi da quando era diventato deputato, Zara aveva inserito una sua nota acidissima intitolata «saldi di fine legislatura». Ce l’aveva con il ministro Mario Baccini, ma a leggerlo proprio ieri faceva un certo effetto.

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