nostro inviato a Lecco
Maria Patrizio è stata incastrata dal nastro adesivo, quello con cui - aveva detto - era stata avvolta dai rapinatori. Sullo scotch marrone da pacchi che la immobilizzava, strappato con i denti, c'è soltanto la saliva della mamma di Casatenovo. È il suo Dna la «prova regina» individuata dai carabinieri del Ris di Parma davanti alla quale Mery ha dovuto ammettere di aver inventato la rapina fatale al figlio Mirko. La folle messinscena è tutta opera sua. Niente banditi, ma neppure familiari che l'abbiano aiutata.
Per ora quello del nastro è il riscontro chiave: le analisi sulle impronte digitali rilevate nel cascinale di via Carlo Porta saranno completate tra 20 giorni e sul corpicino di Mirko pare non siano presenti ecchimosi né altri segni di schiacciamento (si era parlato dell'impronta di un portasapone sulla testa e di un ematoma sul petto). La «prova vaschetta» ha stabilito che il bimbo non poteva scivolare da solo a pancia in giù nell'acqua dove faceva il bagnetto: la morte non è dunque stata accidentale, ma questo di per sé non porta a concludere che sia stata la mamma a commettere l'omicidio.
Il pool guidato dal colonnello Luciano Garofano, giunto in 36 ore sulla scena del delitto, ha avuto mercoledì pomeriggio gli esiti delle indagini genetiche. Ha immediatamente avvertito la procura della Repubblica di Lecco. I pm e i carabinieri sono corsi all'ospedale di Merate per interrogare Maria, ricoverata poche ore prima. E l'hanno messa di fronte all'evidenza. La giovane mamma ha dovuto ritrattare la versione iniziale: è vero - ha confessato - ho inventato la rapina, però non ricordo nulla di come mio figlio è morto. Un interrogatorio lungo e faticoso ma concentrato in appena due paginette. «Con una persona qualunque e non sotto choc - dice l'avvocato Fabio Maggiorelli - quello che è stato verbalizzato in una notte poteva esserlo in pochi minuti».
Il Ris era rimasto subito perplesso sulla ricostruzione della donna. Decisivi sono stati il tempismo dell'intervento e l'aver azzeccato la scelta cruciale di privilegiare le analisi del Dna. Un precedente aveva instradato i militari, cioè il caso di Limidi di Soliera del settembre 2001: rientrando dal lavoro un uomo aveva trovato la sua villetta sottosopra, la moglie legata e imbavagliata, il figlio dodicenne disabile annegato nella piscina di casa. La donna parlò di una rapina tentata da una banda di nomadi. Gli inquirenti non ebbero fretta, misero la donna sotto controllo, attesero i riscontri del Ris e la arrestarono dopo un mese.
Anche i magistrati di Lecco sono prudenti, ripetono che le indagini sono ancora in pieno svolgimento e che un fermo non significa né rinvio a giudizio né condanna. Ieri il procuratore Anna Maria Delitala ha chiesto al gip la convalida della custodia cautelare in carcere per omicidio volontario aggravato e simulazione di reato. I Pm hanno chiesto la detenzione, non i domiciliari né il ricovero per Maria Patrizio: potrebbe fuggire e inquinare le prove. Il giudice Gianmarco De Vincenzi nel pomeriggio ha sentito a lungo la donna nel carcere milanese di San Vittore per l'udienza di garanzia. In serata la decisione del gip del tribunale di Lecco che ha convalidato il fermo per omicidio aggravato e simulazione di reato.
Oggi invece sarà il giorno dello strazio per il papà di Mirko, Kristian Magni, i nonni del bimbo e tutta Valaperta di Casatenovo: alle 15 saranno celebrati i funerali nella chiesetta dedicata a san Carlo Borromeo. La stessa dove domenica 5 giugno Mirko avrebbe dovuto essere battezzato.
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