Cronaca locale

Mariani, bianchi frammenti di ricordi

Elena Pontiggia

L’aggettivo «scenografico» che, come ricorda il vocabolario, significa «effetto esteriore di grandiosità spettacolare», deriva evidentemente da «scenografia». Ma non sempre gli scenografi sono scenografici, anzi.
È il caso di Gastone Mariani, il noto scenografo a cui si devono tanti spettacoli sia in teatro (ha cominciato creando le scene di opere di Pirandello e Eugene O’Neill per la compagnia di Renzo Ricci e Eva Magni, e ha progettato rappresentazioni itineranti di Beckett, Ionesco, Genet), sia in televisione (ha lavorato a lungo con la compagnia di Maria Perego, l’indimenticabile creatrice di Topo Gigio, ma suoi sono gli impianti scenici di numerosi spettacoli, tra cui quelli di «TG L’Una», rimasti famosi per il loro lirismo, o de «L’Albero Azzurro», per citarne solo alcuni).
Nel suo lavoro scenico Mariani ha sempre adottato una misura affabile e cordiale, tutt’altro che magniloquente. Oggi poi, che espone le sue ricerche nel campo della pittura, in una mostra alla Galleria «Spazio Temporaneo» («Improvvise mareggiate», a cura di Luisa Somaini, via Solferino 56, fino al 15 gennaio 2006) l’impressione è confermata. Mariani si concentra su frammenti, su segni minimi deposti sulla tela, e anche nei cromatismi privilegia un colore sommesso e delicato come il bianco, che dà un’idea di candore in tutti i sensi.
Ma quali sono i suoi temi? C’è una fotografia in catalogo che rivela molto della personalità dell’artista.
È una fotografia scattata nell’immediato dopoguerra (Mariani, ci informa sempre il catalogo, è nato a Fano, nelle Marche, il 22 novembre del 1945, e quindi la mostra è, anche, un modo di festeggiare i suoi sessant’anni).
Nella foto, dunque, si vede lui, ancora bambino, con l’abitino chiuso dal collettino bianco come usava allora, su una spiaggia sassosa. L’immagine è un po’ rovinata, ma sullo sfondo si intravvedono piccoli oggetti dimenticati per terra.
Ecco, nella sua pittura Mariani non ha fatto altro che raccogliere quegli oggetti, un po’ come quando si va al mare di mattina presto, meglio se dopo una mareggiata, e si trovano conchiglie, rametti, frammenti di cose che arrivano da chissà dove.
I suoi quadri sono superfici candide, su cui l’artista deposita una foglia, un bottone, un sasso, una linea, qualche punto. Sono elementi o segni legati a un ricordo, a un momento dell’esistenza che non possiamo conoscere. Quello che invece cogliamo è un senso di fragilità e di grazia che ci riguarda da vicino.
Si può citare Klee, per questa «astrazione con qualche ricordo», senza dimenticare Manzoni, le cui superfici silenziose, acrome come lui le chiamava, devono aver lasciato qualche suggestione su Mariani. Ma si potrebbe anche citare Marino Moretti (nato anche lui sull’Adriatico, a Cesena), per quel modo tenero, e un po’ fiabesco, di prestare attenzione alle piccole cose.

Che, spesso, sono piccole solo di nome.

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