MilanoNon sono ancora campane a morto, quelle che rintoccano per il gruppo Mariella Burani a mezzogiorno di ieri, ma poco ci manca. La Procura di Milano rompe gli indugi e chiede il fallimento della prima grande firma del made in Italy a rischiare di venire travolta dal dissesto. Formalmente la richiesta depositata dai pm Luigi Orsi e Mauro Clerici riguarda una società di diritto olandese (anche se con sede operativa a Milano), la Burani Design Holding. Ma poiché si tratta della capofila, la più grande delle scatole cinesi che contengono - di scatola in scatola - lintera architettura societaria, se la richiesta venisse accolta sarebbe tutto il gruppo di Cavriago a venire inghiottito dal crac.
Liniziativa dei due pubblici ministeri fa irruzione sulla scena di un dramma finanziario che si trascinava ormai da mesi, sotto il peso di una esposizione debitoria che nei conti ufficiali viene indicata in 489 milioni (ma la Procura sospetta che possano essere parecchi di più). Poco prima di Natale la Procura aveva mandato la Guardia di finanza a perquisire gli uffici dellazienda e a notificare un avviso di garanzia a Walter Burani e a suo figlio Giovanni per falso in bilancio, aggiotaggio e ostacolo allattività della Consob. Uno schema investigativo non dissimile da quello messo in campo a suo tempo contro la Parmalat di Calisto Tanzi. I numeri del dissesto, fortunatamente, sono diversi. Ma anche qui ci sono tanti piccoli risparmiatori che si sono ritrovati con azioni ormai utilizzabili solo come carta da parati.
A convincere la Procura milanese a partire alloffensiva è stata la decisione di Mediobanca di ritirarsi dal ruolo di advisor della vicenda: una mossa arrivata mentre la famiglia Burani sosteneva di essere disposta a finanziare con cinquanta milioni laumento di capitale del gruppo. Questa disponibilità era la conditio posta dalle banche che sono le principali creditrici del gruppo (le più esposte Intesa San Paolo, Unicredit e Banco Popolare) per accettare di convertire i propri crediti in azioni, dando vita a un progetto di salvataggio simile a quello già in corso per il gruppo Risanamento: articolo 182 bis della legge fallimentare, ovvero «ristrutturazione del debito». Il problema è che i cinquanta milioni, secondo i Burani, si trovano presso una finanziaria di Beirut denominata Gulf. Già la scelta del Libano come cassaforte era parsa singolare. E il fatto che il malloppo non si sia mai materializzato in Italia lascia aperte due ipotesi: che in realtà il denaro semplicemente non esista o che, comunque, non sia nelle effettive disponibilità della famiglia. Il lancio della spugna da parte di Mediobanca ha rafforzato questi dubbi.
Ora la mossa dei pm mette Walter Burani di fronte ad una scelta non facile. La Bdh, la società olandese di cui viene chiesto il fallimento, ha una esposizione debitoria relativamente modesta: una ventina di milioni di euro, in maggioranza verso Deutsche Bank e altri istituti di credito esteri. Il problema è che lunico bene della Bdh (a parte piccole attività laterali come i negozi «Chocolat» a Milano) è il pacchetto di controllo del Mariella Burani Fashion Group, che oggi vale zero. Quindi la holding olandese è in condizioni di insolvenza conclamata e senza uscita.
Certo, i Burani avrebbero una strada per stoppare liniziativa della Procura: scucire quindici milioni per azzerare i debiti della Bdh verso Deutsche Bank e le altre banche straniere. Però a questo punto sarebbero quasi sicuramente le banche italiane a insorgere e a chiedere il fallimento delle attività italiane del gruppo.