Servono nuove leggi, servono giudizi dai più alti vertici morali, politici, medici. Tutti hanno da dire la loro in questi giorni, forse gli ultimi giorni di Eluana Englaro. La sentenza della Cassazione che libererà/condannerà la ragazza è oggetto di aspre contestazioni da parte della Chiesa e dell'opinione pubblica, ma Beppino Englaro reclama silenzio e rispetto. Non lo disturberemo. Accanto al coro di voci che giudicano e legiferano, però, nasce l'esigenza di ascoltare le parole di chi ha esperienza diretta, concreta, di questo limbo innaturale: i malati e i loro parenti. Lanciò un accorato appello in tale senso, poche settimane fa, Marina Garaventa dalla sua condizione di «anima vivissima in un corpo addormentato», quando criticò Gad Lerner che alla sua trasmissione L'infedele diede voce a tutti tranne che ai malati. Ora la parola va a loro, a chi è davvero costretto a immedesimarsi nel dramma della famiglia Englaro, perché lo vive in prima persona.
Marina, la «principessa immobile di Savignone» che vive da 6 anni attaccata a un respiratore (ma scrive sul suo blog, pubblica libri e presto sarà protagonista di un documentario sulla sua storia); e Mimmo Raso, di Arquata Scrivia, che assiste da 5 anni la compagna della sua vita, e non smette di volerla accanto viva in qualsiasi modo. I loro pareri sul caso di Eluana sono molto differenti, seppur originati da un dolore comune. Ascoltiamoli. Marina, col suo modo di vivere gioioso, ironico e sempre pronto a lottare per vivere (leggere per credere: laprincipessasulpisello.splinder.com), testimonia la bellezza della vita e il suo alto valore, in ogni forma. Non ha mai pensato a staccare la spina ma ammette che c'è, per tutti, un momento in cui il gioco non vale più la candela. E a volte, anche lei si lascia andare alla malinconia
«Oggi piove. Mentre accarezzo il respiratore penso a lui, fonte della mia vita, lui che forse un giorno sarà, col suo silenzio, viatico per la mia morte: mi consola il suo respiro, mi proteggono i suoi led, il calore generato dal suo motore mi scalda. È lui che redime la mia esistenza ma, per ora, il filo e la spina sono, non so per quanto, ancora in mano mia. Nella mia testa rimbombano le frasi, le parole riportate dalla stampa sulla sentenza per Eluana: c'è chi parla di condanna a morte, di assassinio, di omicidio, c'è chi, addirittura, invoca la grazia! Mi prende al cuore lo struggimento per papà Englaro che deve combattere coi giudizi di coloro che, neppure troppo velatamente, lo accusano di tali orrori. Bene ha fatto, quest'uomo indomito a non parlare più: la morte è cosa troppo privata per esser messa in piazza e sbranata da lupi e iene impaurite».
Eppure questa vicenda drammatica e mediatica ha fatto emergere un problema irrisolto nel nostro Paese e l'esigenza di regolamentare anche i sottili confini della vita. Cosa ne pensa Marina? «Ora la parola passa alla politica che, ipocritamente, se la prende coi giudici perché hanno preso una decisione su un argomento che per anni nessun governo ha voluto affrontare. Certo il problema non è facile ma, con le nuove tecnologie messe a disposizione dalla medicina, è necessario dare delle regole il più precise possibile perché non si rinnovino storie devastanti come quella di Eluana».
Mimmo Raso, invece, si oppone alla decisione di papà Englaro e lo esorta a ripensarci: «La vita e la morte sono cose da lasciare in mano al destino, non ai giudici. E poi, se avessero avuto un parente al posto di Eluana, quegli stessi giudici cosa avrebbero deciso? Io ho mia moglie nelle stesse condizioni di Eluana, da 5 anni, e non mi sognerei mai di decidere la sua fine: per me è viva anche in quello stato.
Ascoltiamoli. E rispettiamo il loro dolore, la loro intima coscienza.
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