da Roma
Mentre Massimo DAlema continua a lamentare una «collaborazione insufficiente» da parte degli Usa sulla vicenda di Nicola Calipari - lha fatto anche ieri alla Farnesina, ricevendo il collega rumeno, Mihai Razvan Ungureanu (Bucarest non ritirerà le sue truppe dallIrak), si fa vivo per la prima volta, anche se non in prima persona, Mario Lozano, il marine in servizio presso il 69° reggimento della Guardia Nazionale di New York che era alla mitraglia del blindato sulla strada per laeroporto di Bagdad in quel fatale 4 marzo del 2005 e che ora è indagato per «delitto politico» dalla Procura di Roma.
Lozano si definisce «devastato» dalla morte di Nicola Calipari, affermando che «non avrebbe mai potuto fare intenzionalmente male a qualcuno in quel modo». Il marine statunitense, che ha parlato con il Daily News attraverso un commilitone dopo la notizia che la magistratura italiana lo vuole rinviare a giudizio, dice tra laltro: «Quando vedo un combattimento mi sento male». E aggiunge, sempre attraverso il commilitone, il sergente Edwin Feliciano, che lunico motivo per cui si era arruolato sei anni fa nellesercito era stato «per rendere orgogliose» le sue due figlie.
«Era devastato - racconta al giornale americano il sergente Feliciano che era con lui quella notte -. Non poteva dormire dopo quel che era accaduto. Noi gli ripetevamo che aveva fatto solo il suo dovere. Dovevi fare il tuo lavoro gli dicevamo. Ma lui stava male. Stavamo tutti male....». Feliciano e altri soldati del plotone di cui faceva parte Lozano difendono a spada tratta il collega. «Quel giorno - racconta il sergente che al pari degli altri si trovava al check-point sulla strada dellaeroporto di Bagdad in cui apparve a tarda sera la Toyota su cui viaggiavano Calipari, Giuliana Sgrena e Andrea Carpani - avevamo ricevuto un sacco di avvertimenti. Certo, siamo tutti molto tristi che Calipari sia morto, ma provate voi a pattugliare quella strada un giorno sì e laltro no... era un posto molto pericoloso!». Nessuna idea di chi vi fosse a bordo del veicolo. «Lozano faceva il suo lavoro - torna a ripetere il sergente - e quellauto andava troppo veloce. Né ha risposto ad almeno tre avvertimenti».
Del caso Calipari, DAlema ha parlato recentemente a Washington col il segretario di stato Condoleezza Rice lamentando appunto linsufficiente collaborazione degli Usa. Ma uninchiesta effettuata dai militari americani ha concluso che la sparatoria al posto di blocco non fu altro che «un tragico incidente» e non pare abbiano alcuna intenzione di riaprire le indagini sullargomento. Anzi, uno dei famosi sostenitori dello stop alla presenza dei militari Usa in Irak e dei più feroci oppositori della gestione Bush, il liberal Benjamin Barber, ha rilevato giusto due giorni fa come un processo italiano contro Lozano, sia pure in contumacia, rischi di essere assolutamente «controproducente» per lopinione pubblica americana. Mette in rilievo Barber come il 10 per cento degli uccisi in Irak sia rimasto vittima di «fuoco amico» e nota che esiste il rischio che la magistratura italiana, insistendo per il giudizio, possa prestarsi a «strumentalizzazioni politiche».
Massimo DAlema sul punto giudiziario non si esprime, ma torna a sottolineare la scarsa collaborazione degli Stati Uniti nellinchiesta sulla morte di Calipari. «Abbiamo già lamentato una collaborazione insufficiente degli Stati Uniti fino a questo momento e abbiamo sollevato questo tema nei nostri rapporti con lamministrazione Usa».
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