da Milano
Mai Dire Straits. Intanto a Mark Knopfler importa poco della sua vecchia band, quella che lo ha fatto diventare un reuccio della chitarra e anche del conto in banca (100 milioni di album venduti). Tuttal più, visto che tutti glielo chiedono sempre, lui dice che se «quando sono sul palco suono Romeo and Juliet o Brothers in arms è perché queste canzoni sono importanti per la gente e io mi rendo conto di aver creato pietre miliari nella loro vita»: Ma tutto finisce lì perché a Mark Knopfler ormai interessa solo il folk imbevuto di country, interessano i ritmi sereni e solari, le storie di vita quotidiana e basta con lo stress delle classifiche, delle tournée stellari, della continua contrattazione con la sorte per ottenere più successo, più numeri uno, più, più.
Ora è un signor musicista dalla testa al plettro e chissenefrega del resto.
Lo dimostra con il suo nuovo cd Kill to get crimson, che è il suo quinto da solista e che è uno dei pochi ancora capaci di mantenere le promesse. È bello dallinizio alla fine, da Let it all go fino a Secondary waltz, senza cadute di gusto perché qui conta solo la musica e il look, la promozione, le strategia di marketing vengono dopo, molto dopo. Oddio, può anche non entusiasmare, questo cd, perché insomma è un po lontano dai gusti di moda, non squaderna refrain acchiappatutto o testi furbetti o polemiche mirate, non esibisce quella chincaglieria che oggi serve a trainare le canzoni sotto i riflettori o in tv. Qui ci sono soltanto canzoni e lui, che alla vigilia dei sessantanni è sempre più pacato, le spiega senza troppe iperboli, semplicemente partendo dalla radice: «Mi piace lavorare usando il meglio dei vecchi strumenti con il meglio di quelli moderni». E così suona una chitarra degli anni Venti, canta davanti a un microfono degli anni Trenta, accettando che i suoni passino per i mixer di ultima generazione e si facciano belli per essere ascoltati sullipod. In fondo è tutta una questione di entusiasmo ed ecco perché questo è un cd che merita. Cè quellentusiasmo pacato, che arriva sottopelle e lì sta benissimo, si trasmette nota dopo nota e dà il senso vero della musica: il piacere.
«Suonare la chitarra è una compulsione - dice lui - come dipingere». E allora immaginatevele stese su di una tela, le sue canzoni, la luce sarà quella dorata del sole e i paesaggi saranno quelli che preferite, basta solo chiudere gli occhi.
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