Cultura e Spettacoli

MARKARIS Il greco errante

Armeno grecizzato della diaspora e «figlio» di tre lingue, con il suo commissario Kostas Charitos dipinge un’Atene caotica e insidiosa

Quando ti viene incontro caracollando, con l’occhio di vetro fisso sul nulla, gli stivaletti e il giubbotto di pelle nera, diresti che è appena sbarcato dalla nave dei pirati. Avrebbero dovuto scegliere lui per il ruolo del padre di Jack Sparrow. Perché Petros Markaris, 70 anni, è il greco errante. Una di quelle strane figure cosmopolite che sembrano appartenere a mondi ormai perduti e leggendari, levantini che commerciavano nei porti di Odessa, scrivevano poesie ad Alessandria d’Egitto, e tornavano a casa approdando a Smirne.
Markaris è nato a Istanbul da padre armeno e madre greca. Parla un numero imprecisato di lingue e ha fatto svariati lavori. Un film da lui sceneggiato si è preso la Palma d’oro al Festival di Cannes. Da qualche anno, poiché i greci erranti hanno mille risorse, fa pure lo scrittore di romanzi gialli. Ed è diventato famoso in tutta Europa con il personaggio del commissario Kostas Charitos, capo della squadra omicidi della polizia di Atene. Markaris è appena stato in Italia a presentare il suo nuovo libro. In greco, si intitola «L’azionista di riferimento», mentre in Italia è stato ribattezzato dall’editore Bompiani La lunga estate calda del commissario Charitos (pagg. 375, euro 17,50 euro). Il commissario Charitos è ormai una star in molti Paesi europei, soprattutto in Germania. Ma anche in Italia, dove è stato benedetto da Andrea Camilleri, ha ormai il suo fan club, che ne attende con ansia ogni nuova avventura (con questa siamo alla quarta). È uno sbirro vecchia maniera, «politicamente scorretto», cresciuto sotto la dittatura dei colonnelli, uno che i gay non li chiama gay ma in maniera non riferibile sui giornali, e che dice: «Ci sono due cose che odio: il razzismo e i negri». Ha una moglie petulante e lamentosa, e una figlia ribelle. Il mondo in cui vive è una Grecia molto lontana dallo stereotipo cartolinesco: una Grecia sordida e trucida, di brutti, sporchi e cattivi.
In quest’ultimo romanzo si parla di terrorismo ma anche di pubblicità, di televisione e di un mondo massmediatico che sembra perfetto per figurare nella nostra Vallettopoli. Ma che c’entra Petros Markaris con tutto questo? In effetti, nulla. Markaris è stato un germanista, traduttore di Bertolt Brecht in greco. È stato uno sceneggiatore di film intellettuali e, sovente, noiosi, come quelli di Theo Anghelopoulos. Ma, soprattutto, non è un greco alla Charitos. «Sono un armeno grecizzato della diaspora», dice. «Perfettamente trilingue: greco, turco e tedesco, perché dai sei anni in poi ho frequentato le scuole tedesche. L’armeno non l’ho mai imparato, perché mio padre, che ha sposato una greca di Istanbul, era ormai imbevuto di cultura ellenica: già mio nonno si era rifugiato in un’isola dell’Egeo per sfuggire al massacro degli armeni in Turchia, ed era rientrato a Istanbul solo quando le acque si erano calmate».
Ed è dunque a Istanbul che Markaris nasce nel 1937, imbevuto del cosmopolitismo dell’antica capitale dell’impero ottomano, che i greci chiamano ancora oggi «la Polis», la città per eccellenza. «A me, e agli altri greci della diaspora, il nazionalismo balcanico è totalmente estraneo. Per me la patria non è una terra: è la Città, la Polis. Ed essere greco significa, come diceva un nostro poeta dell’Ottocento, solo due cose: libertà e lingua». La lingua se l’è scelta fra le tre che parlava da bambino, mentre la libertà di fare ciò che più gli aggrada se l’è conquistata nel tempo. In Grecia, Markaris è stato a lungo snobbato. Uno scrittore così umoristico e così legato alla concretezza della contemporaneità sembrava un eretico, in una nazione dove i letterati sono un piccolo mondo un tantino asfittico, che ancora ricama saghe famigliari ambientate in piccoli paeselli di montagna con i vasi di basilico sui davanzali. Ma alla fine Markaris è diventato un esponente di punta di quella new wave mediterranea del romanzo giallo che tanto successo ha avuto negli ultimi anni, con il siculo Camilleri, il catalano Vázquez Montalbán, il marsigliese Izzo.
«I gialli mediterranei sono quelli in cui i poliziotti si portano dietro il profumo dei piatti fatti in casa dalle loro madri e non mangiano al fast food», ammicca Markaris al pubblico, quasi tutto femminile, che lo segue incantato mentre presenta il suo romanzo in una libreria milanese. È già sera: l’ora in cui, alle presentazioni dei libri, la gente inizia a squagliarsela.

E invece, con Markaris, pure chi è entrato nella libreria per fare altro se ne sta lì imbambolato, a bersi le storie di questo vecchio pirata levantino.

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