Roma - «Sono preoccupato».
Per cosa, ministro Maroni?
«Per quanto sta avvenendo in Inghilterra.
Perché?
«Perché si rischia di far implodere il modello europeo definito a Lisbona nel 2000, quando si decise per la progressiva integrazione nel settore del welfare. E sarebbe un danno per tutti, la riposta peggiore da dare alla crisi economica».
Oltremanica non la pensano tutti così.
«Guardi, comprendo la preoccupazione degli operai inglesi, ma la loro reazione nei confronti dei lavoratori italiani non è accettabile. Si tratta di un comportamento che va condannato, perché se si condivide lo stare insieme, all’interno dell’Europa, non si può poi reagire così, rimettendo tutto in discussione. E poi...».
E poi?
«In questo caso non stiamo affrontando problemi legati alla sicurezza e al controllo delle frontiere, quanto la crisi interna europea del sistema di protezione sociale. Ecco perché sono davvero preoccupato. La vicenda non va sottovalutata e auspico un dialogo tra premier».
Intanto, c’è chi chiede l’immediata revisione del Trattato di Schengen.
«Sì, ma in questo caso specifico non c’entra nulla, perché l’Inghilterra non ne fa parte. Detto questo, il problema del controllo dei confini resta ed è sentito. Tanto che stiamo già lavorando, in sede Ue, ad un nuovo accordo, Schengen 2. Un passo importante, pure per l’Italia, visto che non può più controllare il suoi confini, divenuti permeabili».
Quali saranno le novità?
«La più importante sarà legata allo scambio di informazioni tra i Paesi aderenti, grazie all’accesso immediato alle singole banche dati. Ci sarà un maggior raccordo e si potrà conoscere la posizione di ogni extracomunitario fermato ai confini esterni, in modo da non far rientrare chi è stato magari già espulso. Sembra strano, ma adesso non esiste questa attività di coordinamento».
A proposito di immigrazione, negli ultimi giorni lei ha rilanciato l’ipotesi di una moratoria dei flussi per due anni. Quanto è concreta l’ipotesi?
«Premessa: l’emergenza immigrazione esiste e il governo da mesi sta compiendo una lotta quotidiana, con l’obiettivo di arrivare ad una svolta entro il 2009. La questione moratoria, iniziativa parlamentare della Lega al Senato, che condivido in pieno, nasce da una consapevolezza concreta».
Quale?
«Tenuto conto della crisi economica, che verosimilmente colpirà maggiormente le fasce più deboli, in primis extracomunitari, che senso ha farli entrare se poi perderebbero subito il lavoro e dovrebbero tornare al loro Paese? Quindi, aspettiamo un attimo: verifichiamo dove ci porterà questa congiuntura negativa e poi ne riparliamo. Semmai, invece di creare altri danni, con un mercato del lavoro già in sofferenza, sarebbe meglio garantire il reimpiego di chi sta già qui. Discorso a parte merita invece la questione dei lavoratori stagionali».
Cioè?
«Ho già avuto modo di parlarne con il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, con cui sto lavorando ad un decreto flussi, relativo al 2009, riservato solo ad ingressi stagionali, legati magari ai settori dell’agricoltura e del turismo. Bisogna essere prudenti e sappiamo, per esperienza, che queste categorie sono necessarie e perfettamente controllate. Il provvedimento potrebbe arrivare presto all’esame del Cdm».
Nel frattempo, da domani sarà in Libia per definire l’accordo bilaterale sul pattugliamento delle coste, siglato dal precedente governo ma mai applicato.
«Sarò in Libia da domani a giovedì. E sono sicuro che stavolta possa essere la volta buona. Anche perché, il contestuale via libera definitivo che arriverà dal Parlamento al Patto d’amicizia sottoscritto da Berlusconi e Gheddafi dovrebbe consentire una svolta. Ma oltre al capitolo Libia, ricordo che non siamo stati finora a guardare. E lo testimoniano gli accordi e gli impegni presi e da prendere con Tunisia, Egitto, Algeria...».
In Italia, però, non si placano le polemiche sui nuovi centri d’espulsione, a partire dal caso Lampedusa.
«La nostra azione è chiara: contrastare l’ingresso, accelerare e rendere più facili le espulsioni. Il resto è solo polemica inutile di una sinistra strabica».
Strabica?
«Sì, in Europa vota a favore dell’innalzamento da 2 a 18 mesi per la detenzione dei clandestini nei centri d’espulsione, in Italia vota contro e ci accusa di essere razzisti».
Situazione contraddittoria?
«Assolutamente sì. Ma ciò che importa è il “sì” al ddl sicurezza che presto - lo do già per scontato - arriverà dal nostro Parlamento. Tutto il resto è solo speculazione politica. Il buonismo nei confronti dei clandestini va respinto, a noi interessano le aspettative dei cittadini».
Dall’immigrazione alla sicurezza. Altra emergenza?
«No, al di là dell’allarme legato a recenti fatti di cronaca, non esiste un’emergenza sicurezza. Complessivamente, rispetto al 2007, lo scorso anno i reati sono diminuiti dell’11%, mentre le rapine, grazie ad un maggior controllo del territorio, sono calate del 12%. Il dato relativo ai reati sessuali, inoltre, segna un -9%. Ciò vuol dire che le norme del pacchetto sicurezza e l’uso dei militari nelle città hanno avuto successo».
Proprio in queste ore, però, si registra l’attacco del segretario del Pd, Walter Veltroni, convinto che dalle statistiche si evince che i reati sono in aumento.
«Veltroni non dice la verità. Basta leggere i dati reali, quelli del Viminale, per rendersi conto che le cose stanno diversamente».
Nessuna emergenza a Roma?
«Nella capitale, i reati sessuali sono scesi del 10%, più della media nazionale, grazie anche all’azione molto intensa del sindaco, Gianni Alemanno. È comunque vero, in generale, che la città vive in una situazione difficile, con una forte presenza di comunità rom, a causa della gestione della sinistra negli ultimi 15 anni, che ha determinato insicurezza e degrado. Quindi, Veltroni, per difendersi dice falsità. È da irresponsabili. E poi, sentir predicare e fare lezione chi ha votato l’indulto, mi fa ridere».
A Nettuno, ieri, è stato dato fuoco ad un indiano che dormiva su una panchina. Nuovo caso di intolleranza?
«Si tratta di una violenza inaudita e gratuita, provocata dall’abuso di alcol e droga, che sembra escludere la matrice razzista».
Ministro, la polemica sulle cosiddette “scarcerazioni facili” non si placa. Come giudica il fenomeno?
«Siamo dinanzi ad una situazione difficile da gestire. Perché da una parte si fa di tutto per prendere i delinquenti, mentre dall’altra i giudici spesso li rimettono in libertà. Evidentemente, c’è da parte della magistratura un atteggiamento incomprensibile, che faccio fatica a capire. Alcuni giudici non si rendono conto della realtà, portano avanti un’azione di assoluta benevolenza, cancellando tutto ciò di buono che ogni giorno fanno Polizia e Carabinieri. E non ditemi che è una questione di leggi, perché il problema semmai è la loro interpretazione, che spetta appunto ai magistrati».
Passiamo al caso Battisti.
«Innanzitutto, va detto che Battisti è tutto tranne che un prigioniero politico che possa vantare protezione. Si tratta di un normale criminale, pericoloso, che scarica su altri le proprie responsabilità. Ha goduto in Francia colpevolmente dell’appoggio di una sinistra caviale-champagne, che vive in un altro mondo. Per me è un serial killer, altro che rifugiato politico».
Riuscirete a farlo estradare dal Brasile?
«Il governo brasiliano sta commettendo un errore gravissimo, per colpa di un’illusione ottica del suo ministro della Giustizia. E non c’è cosa peggiore di non accorgersi di aver sbagliato. Se non ripara, sono a rischio i nostri rapporti bilaterali».
Berlusconi e Lula assicurano però che si manterranno saldi.
«Guardi, finora non sono entrato nella querelle, ma faccio notare: quando sarò chiamato a collaborare con il mio omologo, ad esempio, per contrastare il traffico della droga, è inevitabile che io abbia qualche imbarazzo nel guardare negli occhi un componente di un governo che ci considera un Paese con licenza di tortura. È inaccettabile. Ecco perché la vicenda non può che chiudersi con l’ingresso nelle nostre patrie galere del serial killer in questione. E di questo ho parlato pure con Berlusconi».
Cosa ha detto al premier?
«Se la questione non si risolve, gli ho chiesto di ripensare all’ingresso del Brasile nel G13. Insomma, devono riconoscere l’errore. Non chiediamo la testa di nessuno, men che meno del ministro Genro, ma non possono incaponirsi».
Intanto, c’è chi chiede di non far giocare l’incontro di calcio tra Italia e Brasile.
«La politica e il governo non devono entrare nelle vicende sportive. Però, visto che si tratta di un’amichevole, non cambia nulla se si fa o meno. E mi piacerebbe molto se fossero calciatori, Coni o Figc, a prendere la decisione magari di non scendere in campo.
Quindi, partita persa a tavolino?
«L’auspicio è che si giochi: significherebbe caso chiuso prima del 10 febbraio. In caso contrario, chissà, diamogliela pure vinta 2-0 senza giocare...».
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