Maroni, se la tolleranza zero fa rima soltanto con il nero

di Cristiano Gatti

Il ministro dell’Interno Roberto Maroni rilancia: tolleranza zero contro i cori razzisti. Al suo fianco, non da adesso, il presidente dell’Uefa Michel Platini. Dice Maroni: «Se c’è il minimo dubbio che ci sia un coro razzista, l’arbitro deve immediatamente sospendere la partita e prendere provvedimenti». Dice Platini: «Si possono anche chiudere gli stadi». Sul tema, Enrichetto Varriale lancia apposito televoto nel corso di «Stadiosprint»: risultato plebiscitario, anche i suoi ospiti in collegamento sono tutti da quella parte. Sospendere, sospendere, sospendere. Unica voce controcorrente il tecnico del Genoa, Gasperini, che sommessamente si chiede: perché 50mila spettatori dovrebbero pagare per 50 idioti?
Cosa dire: schierarsi contro questo plebiscito da anime belle è molto arduo. Si rischia subito di uscirne da beceri e da razzisti. Per fare ottima figura bisogna applaudire, dire sospendiamo la partita e magari rispondere anche al televoto di Varriale. Schierarsi contro il razzismo è come schierarsi contro l’epatite virale. Chi non è contro il razzismo?
Il problema però non è stare contro il razzismo. Il problema è chiedersi se sospendere la partita per cori razzisti serva a qualcosa. Se sia giusto e intelligente. Ecco, di questo bisogna parlare. Soltanto di questo. E allora, senza timori di passare dalla parte dei razzisti, mi sembra che qualcosa si possa dire fuori dal coro conformista. Più che altro, una domanda: da quando gli insulti, le volgarità, le bestemmie hanno una classifica?
È proprio questa, in fondo, la novità della soluzione Maroni-Platini. Si certifica per decreto, affidandone l’applicazione agli arbitri, che la società civile non può accettare soltanto gli insulti ai giocatori di pelle scura. Agli altri, di pelle chiara, si può tranquillamente e impunemente dire di tutto.
Senza tante ipocrisie: chiunque sa che negli stadi, da tanto tempo ormai, si sente e si legge di tutto. Contro i bianchi e contro i neri. Un giorno abbiamo deciso che non potevamo più tollerare gli striscioni a sfondo nazista, pena la sospensione della partita. Ora decidiamo che non possiamo più tollerare i cori razzisti all’indirizzo degli atleti neri. Tutto okey, non ci piove. Però a questo punto mi sembra poco. E molto ingiusto. Perché, ad esempio, dobbiamo tollerare che mentre Del Piero o Milito stanno in campo, sulle tribune partano dei cori squallidi che vorrebbero rivelare cosa stanno facendo le mogli in quei precisi momenti?
La fantasia malata delle nostre curve è fertilissima. Dobbiamo serenamente accettare, senza che nessuno sospenda niente, il martellante «figlio di»? O dobbiamo accettarlo solo se rivolto a un bianco, mentre se è indirizzato contro Muntari o Suazo o Ferreira Pinto lo stesso epiteto passa nella categoria razzista, e quindi porta alla sospensione? Ancora: se i tifosi del Torino, sempre facendo esempi a caso, espongono lo striscione con scritto «Infami» all’indirizzo dei propri idoli, davvero dobbiamo considerarlo uno scherzo? Cos’è, il «buuu» a Balotelli è più pesante dell’«Infame» al granata Rolando Bianchi?
Sono domande. Siamo tutti pronti e bravi a dire fermiamo la partita per i cori razzisti. Poi però quando parte il «Devi morire», magari rivolto a un giocatore che ha perso i sensi (è successo, è storia), dovremmo fare finta di niente. Da quello che si intuisce, dall’aria che tira, sta passando proprio questa linea singolare: d’ora in avanti, per avere rispetto e tutela sui campi di gioco, non bisogna avere la pelle bianca. Totale libertà d’insulto contro Cannavaro e Materazzi (a proposito: vogliamo parlare di quello che dicono a Materazzi, in giro per l’Italia?), tolleranza zero e sospensione della partita a difesa di Balotelli e Sissoko.
Sinceramente, mi schiero: la soluzione è molto poetica, ma nella pratica è molto sgangherata. È buona per sciacquarci un po’ la coscienza, ma non risolve nulla. Nella realtà, finisce per aumentare ancora di più, come se ne avessimo bisogno, il peso e l’influenza sullo sport dei dementi domenicali, dei beoni disadattati che danno un senso alla propria esistenza tenendo in scacco la stragrande maggioranza delle persone civili. Quello che scende dalla cloaca di curva non è razzismo: è deficienza allo stato brado. Lo dimostra un fatto elementare: chi fa «buuu» al nero Balotelli è lo stesso che non dice nulla a Luciano, giocatore della propria parte, benché dello stesso colore di Balotelli.
Come uscirne? Se la vedano Maroni e Platini. E anche il presidente federale Abete, che dice «noi siamo pronti ma bisogna cambiare le norme». Io, al posto di Cannavaro e Materazzi, avrei qualcosa da ridire.

In ogni caso, voto sempre l’«Emendamento Seedorf», campione che ha la pelle giusta per conoscere la materia: «Balotelli fa male a reagire. Deve crescere e imparare a ignorarli. Alla fine i cori si spengono da soli». Ottima dimostrazione che il cervello non ha colore.

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