Al Mart il «passo a due» di arte e ballo

«La danza delle avanguardie» trasforma il museo in uno spettacolare palcoscenico

Dipinti, scene e costumi: da Degas a Picasso, da Matisse a Keith Haring al Mart di Rovereto va in scena «La Danza delle avanguardie». Un debutto spettacolare: è infatti il grande sipario per Le train bleu di Picasso allestito nell’atrio insieme a un grande arazzo di Léger a introdurre nella mostra. L’esposizione, a cura di Gabriella Belli ed Elisa Guzzo Vaccarino, (catalogo Skira con testi delle curatrici e di Verzotti, Lista, Sozzani, Lemoine, Bentivoglio e altri), raccoglie oltre mille fra, quadri, sculture, costumi, scenografie, disegni, fotografie, per illustrare un fantastico pas de deux: quello tra l’arte e la danza.
Lo spazio museale è trasformato dalla presenza degli immensi fondali e sipari tra i quali uno gigantesco di Natalia Goncharova. Particolare suggestione aggiunge la gran quantità di costumi arrivati dai più importanti musei del mondo. L’andamento cronologico non si sottrae al fascino di alcune messe a fuoco tematiche (come la sezione dedicata all’orientalismo, dove sull’iconografia della Salomé si confrontano Gustave Moreau e Alexandra Exter). La scelta è stata di presentare i più disparati materiali di scena accanto a opere sul tema della danza. Nella seconda sala spiccano cinque opere di Degas tra cui una scultura e un olio su tela del 1884, Prove di balletto in scena. Zandomeneghi, Toulouse-Lautrec e Boldini indagano l’aspetto sociale del mondo della danza. Con il Novecento, gli artisti non si limitano più a rappresentare il teatro, ma passano dall’altra parte, invadendo il palcoscenico con le loro invenzioni, facendone un laboratorio per le più spericolate sperimentazioni. Pioniere, le protagoniste della modern dance americana come Isadora Duncan, cui sono dedicati i disegni dello scultore Bourdelle, e Loie Fuller, ballerina-farfalla, antesignana della pratica della performance.
Un importante capitolo della mostra è dedicato a Diaghilev e ai Ballets Russes. In venti anni, tra il 1909 e il 1929, l’impresario rompe con la tradizione del balletto a serata intera e invita Matisse, Picasso, Bakst, Larionov a progettare scenografie per brevi balletti d’autore della sua compagnie parigina. Anche l’Italia è coinvolta in questa frenesia: nel 1917 c’è Picasso a Roma per la preparazione di Parade per i Balletti Russi; nel foyer del Costanzi si tiene la mostra della collezione di Léonide Massine, il primo ballerino della compagnia che vive in via dei Prefetti con Diaghilev, vero proprietario dei quadri: ci sono Braque, Derain, Carrà, Severini. Luciano Folgore scrive al gallerista Sprovieri: «Martedì vi è stata l’esposizione dei quadri del coreografo Massine. Ho visto dei Picasso magnifici». Nelle sue ardite innovazioni Balla arriva a eliminare i ballerini dalla scena e a produrre, per la musica di Stravinskij, un breve balletto di suoni e di luci: «niente altro che forme» come scrive Margherita Sarfatti. Ma forse troppo audace, la sua collaborazione non fu più richiesta.
Non ha sorte migliore Depero il cui progetto per Le chant du rossignol, ricostruito ora dal Mart, non viene realizzato dai Balletti Russi che gli preferiscono Matisse (i cui disegni per l’opera sono ora in mostra insieme a un bozzetto per La Danse dal museo Puskin). Diaghilev era entusiasta dei futuristi e li aveva coinvolti nei progetti, dispiacendo a tutti: «Cocteau, noto per le sue maldicenze, descrive i futuristi incontrati al Caffè Greco di via dei Condotti come “très province”, ma nello stesso tempo non sembra disdegnare qualche buona idea delle loro teorie, come suggerisce la lettura del libretto di Parade - scrive Gabriella Belli - Larionov riprende da Depero molte idee, ma nello stesso tempo teme che la geniale creatività italiana possa farsi largo sulle scene dei Ballets Russes. È solo Picasso che non può temere alcuna concorrenza».
La fase contemporanea è rappresentata in mostra da tre sculture di Fontana per il Don Chisciotte, da un gigantesco sipario di Haring e da artisti come Rauschenberg, Salle, Koons, Grazia Toderi, Paolini e Jan Fabre. Qui, come mette in luce Giorgio Verzotti, scene e costumi non hanno più un rapporto di sudditanza, ma assumono la stessa importanza di musica e coreografia.

Verzotti sottolinea anzi il parallelismo dell’arte e della danza impegnate in una comune ricerca citando la grande Martha Graham: «Al pari dei pittori e degli architetti moderni, abbiamo spogliato il nostro mezzo delle inessenzialità decorative».

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