Marta promette la città che non esiste

Marta promette la città che non esiste

(...) Gianni Bernabò Brea (La Destra) che protestava a inizio seduta per aver ricevuto il plico in ritardo. Lui, chissà, pensava di trovarci qualcosa di interessante. E invece bastava sfogliare le prime pagine per rendersi conto del contenuto. Roba grossa: il passato che ritorna, e diventa il futuro dell’amministrazione e della città intera. Allegria! In quelle pagine, e nella successiva illustrazione pubblica che ne ha ricalcato fedelmente i significati, il sindaco-preside si promuove a pieni voti e promette - minaccia? - di continuare così. La città è avvertita. La città reale, naturalmente, non quella fotografata nel documento vincenziano che descrive lo «Stato di attuazione delle linee programmatiche nei primi 12 mesi di mandato». Lì c’è «La città dove si vive bene», e «La città creativa», «La città accessibile», «La città sostenibile». Mica bazzecole. Questi, letteralmente, sono altrettanti titoli dei capitoli del libro di settantasei pagine. Che tipo di città sia da intendere, lo spiega lei, Marta, con l’invidiabile dialettica che la contraddistingue, sempre più incurante della tempeste politico-giudiziarie che tuttora incombono sulla sua giunta. E allora, in un profluvio di parole, il sindaco enuncia «cosa abbiamo fatto e perché andiamo avanti così». Con espressioni del tipo: «siamo anche intervenuti nel profondo, non in superficie», «questa amministrazione ha scelto di rivolgersi agli invisibili», «l’altro punto di forza dev’essere quello di consentire la funzionalità dei principi», «dobbiamo vincere insieme questa scommessa, altrimenti non ce la facciamo», e «c’è una nuova modernità che avanza». Fino ad arrivare all’epilogo: «Abbiamo messo la città al lavoro».
Nella Sala rossa ci si guarda in faccia l’uno con l’altro, increduli. Giuseppe Murolo (An) accenna un’interruzione, ma il sindaco lo sega: «Lei mi sta disturbando». Né miglior sorte tocca a Bernabò Brea: «Lei dovrà masticare amaro» è l’anatema della Vincenzi. Il professor Vincenzo Lorenzelli, Udc, non perde una parola, ma non sembra completamente convinto, tanto che si ritira in corridoio a chiedere lumi all’esperto Sergio Cattozzo, già suo collega di partito. Ancora meno convinto pare Victor Raseto, segretario del Pd, seduto fra il pubblico. In compenso, l’atmosfera si mantiene sull’irreale, con l’entrata in campo dei rappresentanti del Comitato pegliese contrario all’autosilo interrato, che battono le mani e i tacchi e stendono lenzuolate. Non fanno a tempo i vigili ad allontanarli che un drappello di leghisti guidati da Alessio Piana protesta con tanto di striscioni. Comincia il dibattito. Dall’opposizione è un diluvio di critiche. Raffaella Della Bianca (Fi): «Abbiamo raggiunto il ridicolo, lo stato della città è disastroso e il sindaco si loda!», Lilli Lauro (Lista Biasotti): «Siamo in piena bufera, e lei trova urgente, “immediatamente eseguibile“, conferire la cittadinanza onoraria a Vasco Rossi...

»; Alberto Gagliardi (Fi): «Ci possiamo salvare solo se si passa dalle parole ai fatti»; Valter Centanaro e Franco De Benedictis (Lista Biasotti): «La solita operazione di immagine, non ci ha neanche presentato i nuovi assessori»; Giuseppe Cecconi (Fi): «Dimissioni, signor sindaco, ci vogliono le sue dimissioni»; Aldo Praticò (An): «È un fallimento totale su sicurezza, ambiente, annona, politiche della casa. Come si fa a promuovere una giunta così?». Si fa, si fa. Si fa sindaco.

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