da Roma
Benedetto XVI ha approvato ieri mattina il decreto che sancisce il martirio di Antonio Primaldo e dei suoi concittadini (in tutto ottocento) uccisi «in odio alla fede» dai turchi il 13 agosto 1480 ad Otranto. E in un futuro prossimo gli ottocento martiri potrebbero essere anche canonizzati, se sarà riconosciuto un miracolo attribuibile alla loro intercessione.
In realtà i «martiri» di Otranto erano già definiti tali perché al termine del processo aperto nel 1539 e concluso nel 1771 la Chiesa aveva autorizzato il culto degli ottocento uomini uccisi. Con lentrata in vigore delle nuove norme, in vista di una possibile canonizzazione, il processo è stato interamente rifatto con unaccurata e approfondita inchiesta storica. Che ha finalmente confermato in pieno il risultato della precedente. Va precisato che la Congregazione delle cause dei santi ha condotto questa «ricognizione canonica» su richiesta della diocesi di Otranto.
Qual è dunque la storia di questi martiri, le cui ossa sono esposte in alcune teche conservate in una delle cappelle laterali della cattedrale della città salentina? È una vicenda terribile. Dopo aver raggiunto il suo massimo splendore nei secoli X-XV, Otranto rimase vittima della conquista di Gedik Ahmed Pascià, inviato da Maometto II. I cittadini resistono allassedio dopo aver visto arrivare via mare larmata turca composta da 90 galee e 18mila soldati. Per giorni le bombarde degli assedianti rovesciano sulla città centinaia di palle di pietra, e allalba del 12 agosto 1480 riescono a sfondare aprendo una breccia sulle mura: «I cittadini resistendo ritiravansi strada per strada combattendo, talché le strade erano tutte piene dhomini morti così de turchi come de cristiani er il sangue scorreva per le strade come fusse fiume, di modo che correndo i turchi per la città perseguitando quelli che resistevano e quelli che si ritiravano e fuggivano la furia non trovavano da camminare se non sopra li corpi dhomini morti».
Uomini, donne e bambini cercano rifugio nella cattedrale, ma anche qui i turchi sfondano il portale e si ritrovano davanti il vescovo Stefano Pendinelli, che brandisce la croce: «Sono il rettore di questo popolo e indegnamente preposto alle pecore del gregge di Cristo», dice. Gli invasori, dopo avergli invano intimato di non nominare più Gesù, lo decapitano con un solo colpo di scimitarra. Il giorno successivo, il pascià chiede la lista di tutti gli abitanti fatti schiavi, ad esclusione delle donne e dei bambini sotto i 15 anni. Sono circa ottocento. Un prete apostata, per volere del comandante turco, invita a tutti ad abbandonare la fede cristiana per abbracciare quella islamica. Se non lo faranno, verranno trucidati. Uno dei prigionieri, Antonio Primaldo, un vecchio sarto, risponde: «Crediamo tutti in Gesù, figlio di Dio, siamo pronti a morire mille volte per lui». E aggiunge: «Fin qui ci siamo battuti per la patria e per salvare i nostri beni e la vita: ora bisogna battersi per Gesù Cristo e per salvare le nostre anime». Il pascià chiede anche agli altri che cosa intendono fare, e questi, dandosi lun laltro coraggio, gridano di essere pronti a subire qualsiasi morte pur di non rinnegare Cristo. Vengono tutti condannati a morte, a cominciare proprio dal sarto che per primo aveva parlato.
Il 14 agosto ha inizio la tremenda carneficina delle decapitazioni: il colle della Minerva rimane rosso di sangue, coperto quasi del tutto dagli ottecento corpi. Tra i vari eventi prodigiosi che raccontano le cronache, cè il fatto che nonostante la decapitazione, il tronco di Primaldo sarebbe rimasto fermo in piedi, al suo posto. Un fenomeno che provocherà la conversione di uno degli esecutori della strage, a sua volta impalato dai commilitoni.
Leffetto psicologico delleccidio è devastante: il Papa Sisto IV, appresa la notizia, inizia i preparativi per fuggire ad Avignone. Ma il destino dellEuropa non è segnato.
I fedeli cominciano quasi subito a invocare gli ottocento come santi martiri. Che secondo la tradizione si sarebbero impegnati per evitare alla città nuovi sbarchi di turchi.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.