«Si è puniti soprattutto per le proprie virtù», riflessione di Nietzshe che apre la prefazione a Proscritti di Sergio Pessot e Piero Vassallo (NovAntico Editrice in Pinerolo). In termini di vulgata del concetto viene in mente una canzone sanremese: «Se sei bravo ti tirano le pietre», ma la differenza tra oggi e ieri, ben più profonda, è evidenziata da Fabio De Felice, il prefatore: «Mai fu tanto vero come nel regime democratico nato dal tradimento e dall'asservimento allo straniero». La differenza, con parole del prefatore, va al cuore di ciò che non si scrive nei libri di testo scolastici: «La parte nobile della popolazione italiana, quella che ormai per quasi un secolo (dall'interventismo e dal futurismo) ha rappresentato l'anima della Nazione, il suo eroismo e la sua luce intellettuale, è stata massacrata, calunniata, irrisa dai peggiori elementi partoriti da un'epoca di dissoluzione».
Il libro è una galleria di ritratti psicologici: undici protagonisti «della cultura vietata» e, nella seconda parte quattordici «eroi proibiti» a rappresentare in Liguria la bell'Italia d'idee e onestà. Protagonisti però «massacrati» causa il diverso clima politico, come ben espresso da Adriana Orrigone, ausiliaria della Rsi: «Quale crimine abbiamo commesso per subire quanto abbiamo subito?».
Troveremo da parte di uno dei protagonisti dei ritratti, Giuseppe Delpino, questa definizione sui democristiani: «camaleonti e cleptomani». In breve, scorrendo le pagine c'è da sorridere seppur amaramente e molto da riflettere. Il merito di Pessot e Vassallo è che nella nostra città «rossa» ci hanno ricordato questa belle persone «angheriate» del «famigerato» fascismo d'antan non di quello «sdoganato» per i «Fini» e da Fini tradito. Resto convinta siano da ascoltare i «testimonia temporum» prima di storici ideologizzati, a ognuno poi il giudizio personale.
C'è una grande pagina, penso scritta da Vassallo (avendone recensito altri libri), la 79, dove dalla premessa «la storia la scrivono i vincitori» si addentra nel triangolo di tre potenze antiche: i persiani, vinti dai greci a loro volta vinti dai romani; i persiani mostrarono ai greci le vie dell'universalismo che, attraverso i greci, conquistò le menti dei romani. Alla lunga vince la verità delle idee.
Un'altra riflessione qualche pagina dopo: «La storia non sopporta il peso delle negazioni perdenti, ma non riesce a tacitare le verità infiltrate e nascoste negli errori dei vinti». Queste parole riguardano un drappello di fascisti «messi lestamente al muro e fucilati» dai partigiani nel marzo 1945. Tra loro Piero Sassara. Un proiettile gli passò da zigomo a zigomo, mentre gridava «Viva l'Italia, viva il Duce», ma si salvò. Conclusione: «La pietà del pensiero è il motore clandestino degli storici a futura memoria». Ecco nella storia è bene non fare il conto senza l'oste perché arriva il momento del riscatto grazie a chi, preparato e sincero, sa leggere più limpidamente fatti antichi.
I ritratti di questi «vinti» iniziano con il cappuccino Fra' Ginepro, «il legionario con il saio»; ripropongono personaggi come Giano Accame che interrogato sulla sua «fede», rispose: «Credo nell'eroismo», e come un altro Accame, il poeta «scorretto» Franco, definito in un titolo che ce ne ridà il carattere «la sapiente radice dell'anticonformismo». Colpisce nei ritratti un nobile individualismo (incociliabile quindi con il collettivismo comunista) di persone venute da storie diverse, molte di famiglie non abbienti (a sfatare un luogo comune). Troviamo Arillo che salvò il Porto di Genova, minato dai tedeschi, e che grazie a lui il 25 aprile fu consegnato, salvo dalla distruzione, alla Xª Mas. Anche il pensoso Marcello Frusci. Il sottotitolo del suo ritratto «Il destino e le foglie» allude alla sua casa, con vista su Portofino, dove il vento aveva accumulato sul pavimento foglie d'autunno secche (lui era troppo malato per pulirle) e dove si ritrovarono tanti fascisti: belle persone, tutti con interessi diversi. Troviamo Roberto Garufi, in carcere a Regina Coeli con Giorgio Albertazzi, che anni dopo lo ricorda con commozione. Troviamo Giovanni Battista Bibolini, uomo di «generosità illimitata».
Non mancano due storie drammatiche di ausiliarie della Rsi e un giudizio di Pierfrancesco Catanoso sulla battaglia persa per la donna della legittimazione dell'aborto (non la depenalizzazione, si badi bene): «Il popolo ha votato l'aborto, l'aborto rimane un triste delitto». Pensando alla donna il libro si chiude con la storia di Noemi Serra, vedova Castagnone, «un'Antigone moderna».
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