Marzorati ritorna: «Spero di giocare senza far danni»

A 54 anni il «capitano» di Cantù rientra in campo per stabilire un record : sarà il primo giocatore di basket ad aver militato nella stessa squadra per 5 decenni

Maurizio Acerbi

Cinquant’anni e non sentirli. Anzi, il 12 settembre saranno 54 le candeline che spegnerà Pierluigi Marzorati, l’icona del basket canturino che non ha ancora smesso di stupire la sua gente e così l’«ingegnere» di Figino Serenza si appresta a rispolverare le scarpette appese momentaneamente al chiodo per stabilire un record mondiale. Gli basterà, infatti, giocare anche per pochi secondi, nel prossimo campionato italiano (che prenderà il via l’8 ottobre) per entrare nel Guinness dei primati, diventando il primo giocatore della storia del basket ad aver militato, per cinque decenni, nella stessa squadra.
Come è nata l’idea?
«Dall’amico Simone Giufrè che lavora e si occupa anche di statistiche per la nostra società. In un primo momento pensavo ad uno scherzo ma quando a luglio mi hanno “sollecitato“ ad intensificare la preparazione ho capito che mi toccava rimettermi in gioco. Il tutto va collocato nella giusta dimensione, ovvero nel contesto dei festeggiamenti per il settantesimo compleanno di Cantù. Per me, però, è una motivazione che va oltre. Volentieri sottrarrò tempo alla mia attività principale che è fare l’ingegnere ma spero che dal mio gesto tutti siano disposti a rimettersi in gioco, con idee e disponibilità, per il bene di Cantù. Mi riferisco, in particolare all’annoso problema del palazzetto e alla possibilità di investire, come facemmo nel ’69, sui giovani, alla maniera dei college».
Ha provato ad immaginare quel momento?
«Per ora no, ma sono sicuro che sarà un’emozione diversa da quelle vissute in passato».
Come si sta allenando?
«Corsa, potenziamento, allungamenti, stretching; il tutto per evitare di stirarmi perché poi, recuperare, non sarebbe semplice per un “vecchietto” della mia età».
Ha già parlato con coach Sacripanti a proposito del suo utilizzo in partita?
«Sacripanti non mi ha ancora visto. Sicuramente farò un paio di sedute di allenamento con la squadra per studiare gli schermi. Quanto all’utilizzo, spero di giocare un paio di minuti senza fare troppi danni. Scherzi a parte, se dovesse succedere l’8 ottobre contro Treviso bene, altrimenti mi concederò altre due-tre occasioni nelle partite successive».
Qual è il decennio che si è più sposato con la sua filosofia di gioco?
«Quello a cavallo tra il secondo ed il terzo, tra il ’79 e l’82. L’era Bianchini, per capirsi, quando la squadra, con la giusta mentalità, trionfò in Italia ed in Europa, raccogliendo anche quanto seminato in precedenza con Taurisano».
Si è mai visto con una maglia diversa da quella canturina?
«Mio papà mi ripeteva sempre: “Cinque centesimi in meno ma a casa mia”. Ci sono state le sirene di Barcellona, Tel Aviv, Treviso ma io caratterialmente mi sono sempre trovato bene in Brianza. Non sono lo zingaro che ama girare; preferisco star via poco da casa».
Cosa rappresenta Cantù per il basket?
«È la tradizione. Ma mi verrebbe da dire anche l’humus se penso che a guidare le varie nazionali ci sono persone come Recalcati, Frates, Lambruschi e che qui hanno giocato personaggi come Boris Stankovic, Lino Cappelletti, Antonello Riva. Io, se vogliamo, in quei due minuti, rappresenterò tutte queste persone».
Se dovesse segnare un canestro, a chi lo dedicherebbe?
«Onestamente, non ci ho ancora pensato. Il primo pensiero andrebbe alla famiglia ma sono molte le persone che lo meriterebbero.

Diciamo che farei una dedica collettiva».

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