da Milano
Sono immagini forti, quelle di Pietro Maso pubblicate ieri dal Giornale: perché in quella assoluta normalità di un giovane uomo che abbraccia la sua compagna cè una distanza siderale dal Maso delle pagine di cronaca nera, dal pomeriggio di sangue del 17 aprile 1991 quando uccise suo padre e sua madre. Anche Massimo Picozzi, uno dei più autorevoli criminologi italiani, ha osservato con attenzione quelle foto, per il percorso di trasformazione che sembrano sottintendere.
Cosa ci dicono queste foto, professore?
«Il dato reso evidente anche dal linguaggio dei corpi è che cè una componente di affettività, di relazione con laltro sesso, che in un personaggio che ha alle spalle la storia di Maso è giocoforza una componente nuova. È facile immaginare che per un uomo entrato in carcere a diciotto anni e che ne è uscito per la prima volta a trentaquattro la relazione con laltro sesso sia non facile da costruire. Eppure la posizione di Maso sembra indicare fiducia, rilassatezza».
Per i suoi avvocati, il fatto che Maso sia entrato in relazione con una donna è un segno positivo, un passo verso il suo reinserimento. I giudici, dicono i legali, dovranno tenerne conto.
«Indubbiamente è così. Anche se ci sono delle domande che è necessario farsi».
Per esempio?
«Bisogna partire dal delitto commesso da Maso, cioè luccisione del padre e della madre. Quello è il classico delitto del narcisista, lopera di un personaggio così concentrato su se stesso da poter ridurre ad oggetto le figure che gli stanno intorno, e da potersene liberare al solo scopo di raggiungere un proprio obiettivo di benessere. Che Maso fosse affetto da narcisismo lo testimoniano peraltro anche le foto dellepoca del processo. Io voglio essere il più bello, il più ricco, il più profumato, e ti uccido perché sei un ostacolo al raggiungimento di questo obiettivo».
E la comparsa di una figura femminile a questo punto della sua vita cosa può significare?
«Per rispondere con sicurezza bisognerebbe conoscere il trattamento che Maso ha ricevuto in carcere e levoluzione della sua personalità. Io gli auguro di essersi allontanato a sufficienza da quella dimensione di egoismo assoluto. Intendo dire che se non hai interesse nellaltro anche il rapporto che crei sarà un rapporto assolutamente egoistico, una relazione parassitaria basata sulla soddisfazione dei tuoi bisogni anziché su uno scambio, su un arricchimento reciproco. Il Maso di allora avrebbe gestito il rapporto con una donna sicuramente così. Oggi, a quasi diciassette anni di distanza, la speranza è che il percorso compiuto in carcere gli consenta un rapporto più adulto e completo. Se il rapporto di Maso con questa donna è di questo tipo, certamente può costituire un passo avanti».
Al punto di guardare con fiducia alla concessione della semilibertà? Se la decisione toccasse a lei, scarcererebbe serenamente Pietro Maso?
«Io credo che non si debbano avere preclusioni, perché il delitto compiuto da Maso non è di quelli che hanno in sé i presupposti della ripetizione. Maso, per capirci, non è un sadico, non ha ucciso per il gusto di uccidere. Non lo possiamo paragonare, per citare un caso quasi altrettanto noto, a Luigi Chiatti, che se tornasse libero tornerebbe probabilmente ad ammazzare. Il delitto di Pietro Maso invece è come quello di Erika e Omar o, per citare un precedente più remoto, come quello di Doretta Graneris che a Vercelli sterminò la sua famiglia per poter vivere in pace con il suo fidanzato. Sono atti di egoismo assoluto compiuti per il raggiungimento di un fine. Posso dire che queste forme paranoiche di egoismo sono a volte bene accette nella nostra società, e per esempio nellambiente lavorativo chiunque di noi può averne degli esempi diretti.
E i freni inibitori, se uno non ce li ha, se li può costruire?
«Sì. Se il trattamento è adeguato, e noi tutti ci auguriamo che nel caso di Maso lo sia stato, i freni inibitori si possono rafforzare nel tempo».
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