Maso in permesso premio: libero per 3 giorni incontra le sorelle

Nel programma "Tempi Moderni" su Retequattro le immagini dell’uscita dal carcere di Opera. Il killer di Montecchia di Crosara aveva una croce di legno al collo. Il giudice di sorveglianza: "Quel diciannovenne che nel 1991 sterminò i genitori è ora un uomo maturo". Il figlio che massacrò la famiglia per un miliardo e mezzo di "schei"

Maso in permesso premio: libero per 3 giorni incontra le sorelle

Un sibilo meccanico e la luce arancione sul cancello che inizia a lampeggiare. Il portone del carcere di Opera si apre lento. Secondi che si perdono nell’attesa, come può perdersi nell’attesa il sogno di libertà di un carcerato. Quante volte Pietro Maso aveva immaginato quella scena. Quasi un miraggio per uno come lui condannato a 30 anni per aver ucciso padre e madre; l’ergastolo gli fu risparmiato solo grazie al riconoscimento della seminfermità mentale: un caso che nel 1991 - come dicono i neristi - «fece scalpore». Un ragazzo di 19 anni che nella sua casa di Montecchia di Crosara, in provincia di Verona, massacra nella notte i genitori per impadronirsi dell’eredità di famiglia e fare la «bella vita» tra auto di lusso e vestiti alla moda.
In tribunale aveva detto proprio così: «I soldi mi servivano per fare la bella vita». Parole pronunciate senza emozione, anzi con una faccia strafottente su cui spiccava un elegante foulard stretto in gola. Oggi Pietro Maso ha 35 anni, ed è rinchiuso in carcere da 16 anni. Una richiesta di permesso premio avanzata nel 2000: bocciata. Un’altra nel 2002: bocciata. L’ultima nel 2007: accolta.
Uno sguardo rapido al calendario e uno impaziente all’orologio: è il 7 aprile e le lancette segnano le 9 in punto. Per Pietro il giorno del permesso premio cade proprio alla vigilia di Pasqua. Per descriverla con un’immagine banale: una gran bella sorpresa. Pietro si materializza davanti alle telecamere di Tempi Moderni, il programma di Retequattro che ieri sera ha mandato in onda le immagini dell’uscita dal carcere e, tre giorni dopo, del suo rientro.
Maso non parla: il magistrato gli ha imposto il silenzio e lui lo rispetta. Pietro si infila nell’auto del presidente della comunità «Il Bivacco» di Melegnano e si allontana. I giornalisti non li perdono di vista e quando i due si fermano a un distributore di benzina rispuntano telecamere e microfoni: Pietro indossa una canottiera bianca dalla quale spunta un crocifisso di legno, simbolo del «percorso religioso» seguito da Maso. Preghiera e palestra, palestra e preghiera. Tanto che oggi Pietro ha muscoli d’acciaio e una fede altrettanto solida.
Tre giorni trascorsi in comunità dove Maso ha potuto incontrare le sue sorelle, poi il rientro nel carcere di Opera. Ad attenderlo, davanti all’ingresso, le domande dell’inviata Mediaset, Ilaria Cavo: «Pietro, come stai, com’è andata?». Ma Pietro ha la bocca cucita, anzi tenta addirittura di negare la sua identità: «Io mi chiamo Stefano...».
Ma probabilmente oggi Pietro è davvero un’altra persona. E per averne la prova basta mettere a confronto le ordinanze dei giudici di sorveglianza. Le prime due che hanno detto «no» alle precedenti richieste di permesso premio: «Nel soggetto sussiste il disturbo narcisistico di personalità che potrebbe ancora portarlo ad agiti antisociali in caso di libertà...». E la terza che invece ha detto «sì» al tanto agognato permesso premio: «Il soggetto è ormai cresciuto e strutturato con progetti e aspettative. L’attuale uomo di 35 anni ha ormai rielaborato il senso di colpa relativo al delitto dei genitori ed è oggi consapevole dei propri limiti; la sindrome di onnipotenza che lo caratterizzava è ormai lontana...». Insomma, a giudizio di giudici e periti il «vuoto psicologico» che, 16 anni fa, spinse Pietro Maso a uccidere i genitori, adesso è stato «riempito» da una «presa di coscienza» maturata «attraverso studio, lavoro, preghiera e attività fisica».

Pietro infatti è iscritto al terzo anno di Ragioneria, è impegnato in un laboratorio teatrale, frequenta regolarmente la palestra del carcere e recita ogni giorno il Rosario.
Sua zia Rosina, da Montecchia di Crosara, gli manda un messaggio d’affetto: «L’ho perdonato. Se tornasse non gli chiederei niente. Lo abbraccerei e basta...».

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