A indovinare fu Dante che ce la dipinge, nel canto XXVIII del Purgatorio, intenta ad intrecciare fiori, «più color con le sue mani». Matilde di Canossa ha atteso una vita quell’attimo eterno in cui, liberata dal negotium terreno che spesso le fu greve, approda, nella dizione di Matelda, al Paradiso terrestre. Lei, da sempre combattuta fra la nostalgia del chiostro e la ragion di Stato, si ritrovò guerriera. Mai per vocazione. Canta, la Matelda dantesca: scegliendo «fior da fiore», dimentica, nel rinnovato otium della contemplazione, gli affanni del cuore che furono tanti per quella mantovana che a 9 anni rimase orfana di Bonifacio di Toscana ed erede di un regno e molti guai. La storia aveva scelto un ruolo difficile per questa beati Petri singularis filia, come fu chiamata per l’alleanza con Gregorio VII.
Donna bella e complessa, non avulsa dalle passioni, due volte moglie sempre annoiata, madre mancata. Per lei scorsero fiumi di inchiostro: nessuno riuscì a catturare appieno la sua natura. Di lei oggi restano qualche sigillo, sigle su documenti, pietre che formano rocche ed abbazie, epigone di uno scacchiere vasto e complesso di potere che oggi Mantova ricostruisce in un percorso, quasi un museo diffuso, che, fino all’11 gennaio, tocca la Casa del Mantegna e il Museo Diocesano Gonzaga in città e la millenaria Abbazia di Polirone di San Benedetto Po, dove la comitissa scelse di essere sepolta fino a quando altri ne traslarono le spoglie in Vaticano dove riposa sotto al massiccio altare del Bernini, seconda donna ad essere accolta in San Pietro.
Se il Diocesano, con Roberto Brunelli, ha individuato un percorso per sottolineare i legami di Matilde con Anselmo Di Lucca, patrono della città e consigliere della contessa, a Polirone, Paolo Golinelli ha raccolto un nutrito corpus di documenti, codici e mappe. «Matilde di Canossa è un personaggio ancora sfuggente ma anche una perfetta testimone di un’epoca», spiega Renata Salvarani curatrice, con Liana Castelfranchi dell’esposizione alla Casa del Mantegna. Mantova ne ricostruisce una storia «per res et per loca», sgombrando il campo dall’aneddotica concentrata sulle notti di Canossa, dalla libellistica polemica imperiale che indugiava solo sulla sua amicizia con Ildebrando di Soana. Per chiarirsi le idee meglio calpestare l’aerofotogrammetria che campeggia nel cortile circolare della Casa del Mantegna: occorrono almeno dieci passi per afferrare, in scala, la vastità delle terre matildiche che si spingevano fino alla minuscola Gorgona.
Non tutta fu gloria: uno dei sigilli, provenienti da Montecassino, parla di beghe fiscali di cui la comitissa si occupava quotidianamente. In teche azzurre sono conservati i documenti da lei siglati si quid gratia est, con il suo monogramma. In due anni di lavoro le curatrici hanno vagliato oltre 600 oggetti per selezionare i 258 pezzi della mostra, da oltre 90 enti e collezioni. Fra i pezzi forti, lo schienale di Goslar, in bronzo lavorato a mano appartenuto a Enrico III. Da Hildesheim arriva un reliquiario in cristallo di rocca, assicurato per 6 milioni e mezzo: apparteneva ad Enrico II come il manto di stelle che invece non è stato possibile trasportare da Bamberga. Ma a Legnano il comitato del Palio ne ha realizzata una copia nella stessa sfumatura di blu. Commuove, invece, pensare che, poco oltre, i ricami del piviale verde pallido custodito a Berceto abbiano più di mille anni. Questo, come i marmi della tomba di Ugo da Cluny, sono qui in mostra per la prima ed ultima volta.
Un video riassume in parallelo l’antica contesa fra papato e impero, di cui Matilde oltre che arbitro fu anche pedina. La forza della Chiesa prorompe proprio dai rotoli degli Exultet miniati che ricordano la riforma gregoriana, accanto al manoscritto del perentorio Dictatus Papae, con cui Gregorio VII riaffermava la supremazia del pontefice, in contrasto con la minuta croce funeraria di Enrico IV, penitente fra le nevi di Canossa, episodio ricordato da un olio settecentesco, che poco rende l’idea di quel freddo gennaio 1077. Lo sguardo di Matilde torna ad essere catturato in una miriade di quadri, senza essere mai il medesimo: in una tela il suo profilo è imprigionato in un cappello troppo importante, in un’altra un copricapo a punta le adorna capelli rossi sciolti. Ma Matilde sfugge ancora, un po' guerriera col triregno in mano, come la scolpì il Bernini, un po’ meditabonda, un melograno fra le mani. Ma pur sempre una donna sola, «soletta», come la cantò Dante.
LE MOSTRE
«Matilde di Canossa, il papato, l’impero».
Casa del Mantegna, via Acerbi, Mantova. «Anselmo da Lucca» Museo Diocesano, piazza Virgiliana, Mantova. «L’abbazia di Matilde» San Benedetto Po. Tutte fino all’11 gennaio. Info: Mostramatildedicanossa.it. Tel.: 0376 432432.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.