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La matrigna? Fine di un mito, non è più cattiva

Come il cinema e la letteratura hanno cambiato l’immaginario della seconda moglie. Non è più la perfida strega delle fiabe, ma l’amica di papà. In onore al politicamente corretto

La matrigna? Fine di un mito, non è più cattiva

Nessuno la chiama più matrigna. E’ l’amica di papà ed è tutta un’altra musica. E’ così che la vuole Hollywood, regina della famiglia a tempo determinato, allargata, rifatta, revisionata, dove nulla è per sempre e a tutti è concessa una seconda occasione. La matrigna non è più un tabù. Non è quella cattiva, l’intrusa, la serpe, quella da disprezzare, da odiare, la manipolatrice del padre che invaghito cede e cade, non è quella che l’ha giurata a Cenerentole, figlia legittima di primo letto che sfiga vuole si ritrova con un’arpia in casa e una vita impossibile.

È l’estranea sì, ma in fase di avvicinamento. È carina, mediamente simpatica, generalmente emancipata. E soprattutto disponibile: è una che fa squadra, che crea alleanze, che se ne frega della convenzionalità, che compra biglietti per concerti rock per i figli dell’altra. Ha imparato a guardare le cose con occhi diversi, con quelli di una Julia Roberts in “Nemiche Amiche” ad esempio, icona di tutte le matrigne di buona volontà. Stravaccata sul divano ha guardato e riguardato il film sulle tracce di suggerimenti, si è immedesimata, ha immaginato di spiegare un giorno, proprio come faceva Julia, cos’è un succhiabrina.

La matrigna non veste più di nero e non porta il rossetto scarlatto. E al cinema non sposa il vedovo, ma il divorziato. La matrigna è scarpe base e jeans a vita bassa. E’ casta e puttana. Piace ai figli e al marito. Il suo seno sa ancora di disco, di birra e hashish con gli amici. Il desiderio della maternità, senza la fatica del parto, è la conseguenza dell’amore per questo cinquantenne distratto a cui lei ha regalato una seconda occasione. La nuova matrigna è una convertita. L’altro ieri era ancora una ragazzina. I figliastri la guardano e stravaccano gli occhi: “Ma è bona”. E’ Sandra Bullock che, parlando della sua vita privata, dice: “Fare la matrigna? E’ un compito facile. I bambini hanno già una madre, una donna splendida, Karla, la prima moglie di Jesse. Abitiamo vicini, ci dividiamo i compiti, e io lo considero un onore»... 

Oggi telefilm come “La famiglia Bredford”, I Jefferson, I Robinson non funzionano più. Al loro posto ci sono altri modelli che reggono. Ci sono le protagoniste di Sex and the City, con storie d’amore intricate, dove l’eternità è una memoria perduta. Ci sono le avventure di Ally Mc Beal che trova l’uomo giusto divorziato con figlioletto e funziona.

L’America si è innamorata un anno fa della storia di Juno, un film sulla complicità matrigna-figliastra che ha battuto al botteghino anche Little Miss Sunshine. E’ la storia di una sedicenne che resta in cinta e va alla ricerca di una buona famiglia per il suo bambino. Al suo fianco c’è la giovane matrigna, che non disdegna di fare sesso con il fidanzato della figlia, padre della nipotina in cerca di adozione. L’incubo di Cenerentola, con finale magico a colpi di zucca e scarpette di cristallo, non esiste più. La famiglia non è più per sempre, ma ci sono i cambi di scena, separazioni, divorzi, convivenze. Scenari che cambiano, adattamenti, evoluzioni. Sopravvivere a questo presente senza prospettive, all’era dell’incertezza, è una fatica a cui l’uomo non si è mai abituato. E così arrivano in aiuto i registi che propinano film sulla matrigna zapateriana, icone del post femminismo, donne giovani e rampanti che imparano a prendersi tutto il pacchetto, fidanzato più figli avuti dal matrimonio precedente.

L’importante è sopravvivere con allegria alla parola sempre. È la sindrome dell’orizzonte piatto, una sorta di miopia esistenziale che serve ad anestetizzare i sentimenti. La risposta a qualsiasi affanno, a un giramento di cuore, a una colpa o a un perdono, arriva con la voce capricciosa di Rossella O’Hara: «Domani è un altro giorno». È una vita senza promesse. Forse ha ragione Zygmunt Bauman, il teorico della società liquida, quando dice: «Nell’impegno a lungo termine la ragione moderna individua l’oppressione, nella promessa vede il segno della dipendenza. Le relazioni sono fluide, beni a perdere, bambini e cani che non ci girano intorno, legami che non ci rendono nervosi. Dimenticare in fretta, cambiare rotta senza rimorso, evitando di giurare fedeltà eterna a qualcosa o a qualcuno. L’uomo liquido è sempre al lavoro, rimpiazza la qualità della relazione con la quantità, sempre con il panico di rimanere indietro o diventare obsoleto. Vogliamo relazioni che assomigliano allo shopping, con ricette, diritti stabiliti e promesse di soddisfazione fissate per legge. Come se l’amore obbedisse alle leggi economiche».

L’amica di papà è il vero architrave della famiglia leggera, liquida, flessibile, a tempo determinato. E’ su di lei che cadono pesi e responsabilità. E’ lei che deve comprendere, sedurre, trovare un posto a tavola, amante a letto e complice in famiglia. E’ lei che deve inventarsi un ruolo quasi innaturale.

La matrigna moderna è uno specchio frammentato, con troppe personalità e in concorrenza con un esercito di ombre.  

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