Roma «La destra non chiude. Anzi, apre».
Ministro Matteoli, oggi però approverete una mozione che, nei fatti, segnerà la fine di Alleanza nazionale.
«An non si scioglie, ma confluisce in un nuovo soggetto, esattamente come Forza Italia. E tutti dovremo stare attenti».
A che cosa?
«Il Pdl non dovrà essere costituito da una semplice sommatoria. Il nostro primo obbligo, infatti, è di tenere i cancelli aperti verso la società civile, per farvi aderire chi non ha mai inteso scendere in politica, chi non si è mai iscritto ad un partito».
Battenti spalancati ai moderati?
«Sì. E poi, sarebbe monotono se un partito come questo, che arriverà a prendere oltre il 40% dei consensi, fosse al suo interno mono-cultura, con una sola identità».
Il rischio non si pone. Anzi, a volte faticherete per trovare un punto d’equilibrio.
«Il confronto interno è necessario. Ma siamo agevolati: abbiamo una leadership forte e una grande capacità di dibattito. Troveremo la sintesi giusta».
In ogni caso, quantomeno siete “rodati”.
«Già, unione non improvvisata, ma il risultato di tanti anni di fidanzamento. Ora siamo pronti per il matrimonio e un progetto vincente: lo dimostrano gli elettori».
A cosa si riferisce?
«Beh, mentre in tutta Europa chi sta al governo è penalizzato dalla crisi, noi vinciamo in Friuli, in Sardegna, in Abruzzo».
Sarà, ma quante fibrillazioni.
«Guardi, si presentano tutte le volte che si svolge un congresso, figuriamoci con due partiti che si mettono insieme. Sarei stato preoccupato del contrario, semmai, perché ci sarebbe stata rassegnazione».
Riuscirete davvero ad evitare le correnti?
«In passato, dentro An, sono stato anche capo-corrente. C’è stato un momento in cui erano molto utili per il dibattito interno, ma oggi sarebbe assurdo».
Leadership unica o doppia?
«Un partito ha bisogno di un solo segretario o leader. E mi fanno sorridere quelli che vogliono trovare un ruolo a Fini: è la sua storia ad accreditarlo già come un protagonista. Quando non farà più il presidente della Camera sarà utilissimo al Pdl. Oggi dà già un segnale forte di cosa voglia dire un uomo di destra, con un grande senso di responsabilità, a capo delle istituzioni».
E dopo l’epoca Berlusconi?
«Si vedrà».
Fini avrà un incarico di prestigio nel Ppe?
«Sinceramente non ne so nulla».
A proposito di Ppe, siete ad un passo da uno dei vostri storici obiettivi.
«Avremmo chiesto di entrarvi anche come Alleanza nazionale, figuriamoci ora».
Torniamo al Congresso. La platea è sembrata in larga parte poco nostalgica.
«Non va dimenticato un passaggio fondamentale: Fiuggi. Noi veniamo da lì e oggi non siamo combattuti, ci viene normale fare questo passo, giusto, necessario per il Paese. Certo, dentro di noi, dentro chi viene come me dall’Msi, l’emotività c’è».
Si commuoverà oggi sul palco?
«Non sarebbe una vergogna».
Su cosa punterà il suo intervento?
«Cercherò di guardare al futuro».
Torniamo indietro. Quando nasce il Pdl? Il 2 dicembre 2006 o con il “predellino”?
«Nasce nel gennaio del ’94, quando ci ritrovammo in albergo a stringere il primo accordo, all’epoca solo elettorale. Due mesi dopo eravamo alla guida del Paese».
Pdl già maschilista?
«Non vedo dualismi tra maschi e femmine. Da sempre contrario alle “quote rosa”, penso che le donne siano capaci di guadagnarsi posizioni al pari degli uomini».
Alleanza con l’Udc: sì o no?
«Sono convinto che molti dirigenti e suoi elettori guardano al centrodestra con forte simpatia. C’è però un nodo politico che ci divide: noi siamo fortemente a favore del bipolarismo, loro no, non lo vogliono».
Alleanza con la Lega: sempre tira e molla?
«Grazie alla sua collocazione geografica, può permettersi di essere partito di governo e di lotta: su questo eccede. Però, nelle aule del Parlamento, dell’esecutivo, è in sintonia su tutte le scelte».
Cosa avete da imparare dal Carroccio?
«Il Pdl ha da imparare da chi viene da An, da sempre impegnata sul territorio».
Nuova guida al Pd. Vi cambia qualcosa?
«Veltroni è fallito come leader, ma il suo progetto di andare verso il bipartitismo era giusto. Franceschini, invece, finora ha usato un profilo propagandistico. Vedremo cosa saprà fare senza demagogia».
Europee. Ministri da mettere in lista?
«Io non mi candido, l’ho già fatto. Se qualcuno vuole farlo, si accomodi pure».
Chiudiamo con la polemica tutta a destra. Intellettuali contro politici?
«C’è una differenza sostanziale tra un uomo politico e uno di cultura. Il primo deve dare certezze, il secondo seminare incertezze. Ci possono essere visioni diverse».
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