Il maxiprocesso parte bene: fermandosi

Atmosfera gelida, neanche una parola tra Carraro e Mazzini, suo vice per molti anni

Gian Piero Scevola

da Roma

«Ci rivediamo lunedì. Il programma non è fisso, l’unico elemento fisso è la meta: dobbiamo puntare alla giustizia». Così Cesare Ruperto, presidente della Caf, rinvia all’inizio della prossima settimana la fase calda del maxiprocesso allo stadio Olimpico. Una decisione a sorpresa, ma condivisa dall’intera commissione dopo quasi due ore di camera di consiglio. La Caf ha accolto le richieste di partecipare al processo di cinque club che costituiscono controparte nel dibattimento: Lecce, Messina, Treviso, Bologna e Brescia. Necessario per tutti, a questo punto, anche più tempo per studiare le carte. Il processo al «più grande scandalo della storia del calcio italiano» - definizione usata da Borelli - è regolarmente cominciato ieri mattina in un Olimpico blindato, con ingressi riservati per giudici, deferiti, avvocati (curva sud) e stampa proveniente da tutto il mondo (curva nord). Con i vari personaggi che facevano fatica a salutarsi o neppure si guardavano: Innocenzo Mazzini, già vicepresidente federale, si è avvicinato più volte a Franco Carraro che non l’ha degnato nemmeno di uno sguardo. E pensare che per anni sono stati uno a fianco dell’altro nelle stanze del potere. Facce tirate, pochi sorrisi, un De Santis dall’aria strafottente. Alle 9,30 tutti in aula come diligenti scolaretti, con le telecamere che trasmettevano a circuito chiuso. E gli ex designatori Pairetto e Bergamo, per sei anni considerati la «strana coppia» del settore arbitrale, seduti sui lati opposti della sala, con il livornese in prima fila al fianco di un Adriano Galliani tirato e concentrato. Mancavano solo Luciano Moggi (si sapeva) e Antonio Giraudo (assenza inaspettata), rappresentati però dai rispettivi legali, Fulvio Gianaria e Luigi Chiappero.
Quanto ai giudici, a dirigere le operazioni ci pensava l’ottantunenne Cesare Ruperto, presidente emerito della Corte costituzionale dal gennaio 2001 al dicembre 2002, con a fianco i nuovi Michele Lo Piano e Giuseppe Marziale, Mario Zoppellari da anni componente della Caf e la vera eminenza grigia della commissione, l’avvocato cagliaritano Carlo Porceddu, l’uomo che ha trattato i maggiori processi del calcio di casa nostra. Le ostilità sono state aperte proprio da Chiappero (l’avvocato che difese Giraudo e la Juve nel processo per abuso di farmaci tenuto a Torino) per esporre un’eccezione relativa alla costituzione di parti terze interessate all’esito del procedimento. «I ripescaggi - ha detto Chiappero - non verranno determinati solo dall’esito della classifica finale del campionato 2005/06, che influisce al 50%, ma da un’altra serie di parametri. I terzi, in sostanza, non hanno alcun interesse immediato».
Chiappero traccia la strada che anche gli altri legali seguono, chiedendo un differimento del procedimento. Tra le eccezioni anche quelle dell’avvocato Alberto Bruni, legale di Sandro Mencucci, ad della Fiorentina, che ha evidenziato come le memorie dei club terzi «non sono state accessibili». A ruota anche l’avvocato Gian Michele Gentile, difensore di Claudio Lotito e della Lazio. Il Procuratore federale Stefano Palazzi va però controcorrente: «Gli interessi degli imputati sono tutelati e la legge sull’accesso agli atti non è applicabile a questo procedimento».
Alle 10,10, dopo una serie di botta e risposta tra le parti, con i legali fermi nelle loro eccezioni (pochi i tre giorni loro concessi per leggere le oltre 7.000 pagine degli atti), l’ammissione di Lecce, Messina, Treviso, Bologna e Brescia. E l’intervento secco e deciso di Ruperto. «Dobbiamo collaborare tutti all’accertamento della verità in tempi celeri. Il punto è se vogliamo sposare il buon andamento del processo oppure scivolare sul piano della nullità». A mezzogiorno la decisione di Ruperto: «Ci rivediamo lunedì e nessuno si preoccupi per i tempi perché recupereremo e chiuderemo secondo quanto stabilito. Con un breve intervallo ogni 90 minuti per permettere la rituale fumatina».

Consenso unanime da tutti i difensori: niente giustizia sommaria e rispetto dei diritti della difesa.
Si può pensare che, forse e una volta tanto, tocchi alla giustizia sportiva insegnare qualcosa a quella ordinaria.

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