Max&Leo, allenatori ma apprendisti

Se il campionato è così incerti i meriti sono anche dei demeriti degli allenatori. Bravi, ma inesperti, quelli delle due squadre milanesi

Max&Leo, allenatori 
ma apprendisti

In due non ne fanno uno. Ovviamente il pensiero va ai grandi: Ancelotti, Capello, Sacchi, Herrera, Rocco, Trapattoni, anche Mancini, perfino Mourinho. I due sono Allegri e Leonardo, rispettivamente allenatore della squadra prima e seconda nel campionato. Ecco, detto questo viene lo sconforto. Allegri e Leonardo non hanno mai vinto scudetti da tecnici, ma quest’anno non c’è allenatore in serie A che abbia vinto tricolori. Allegri arriva da buone esperienze in provincia. Leo si è seduto subito sulla panchina di due delle più grandi squadre d’Italia: l’anno passato Milan, quest’anno Inter, è già un bel record.
Però, quando si dice allenatore, non basta la parola. Serve dimostrare qualcosa, specie nei momenti difficili. La buona regola dice che un allenatore è ottimo se non rovina il talento dei giocatori e non pasticcia con le tattiche. Allegri e Leonardo per ora restano apprendisti. Più piccoli del ruolo affidato. Eppure uno parla da scienziato e l’altro da illuminato. Ma non basta. Ieri il rossonero ha dimostrato i limiti: non ci ha preso con la formazione, alla vigilia ha parlato di giocatori stanchi (Robinho e Ibra) ma ha insistito. Ha ritardato i cambi come altre volte è capitato. Ibra era da fermare, prima o poi sarebbe saltato: era evidente. Magari sarebbe bastato portarselo in panchina. Invece l’allenatore non ci ha badato: se lo è giocato così, maldestramente ed ora è perso pure per il derby. Domanda: quale è la partita clou per credere nello scudetto? Il derby. E, allora, meglio godersi Ibra in campo, magari riposato? O perderlo contro il Bari, rischiando pure di perdere la partita?

Il Milan di San Siro, contro il Tottenham, non è stato perfetto nella strategia e nella formazione. Come dice Arrigo Sacchi: Allegri è un buon allenatore, ma deve completarsi. Oggi si affida più alle giocate delle stelle che al complesso. E Leo lo segue: ha vinto 11 partite su 14 di campionato, ma si è dovuto fidare dei solisti e molto meno dell’orchestra. A Brescia è mancata una buona strategia nella ripresa, il cambio di Pazzini è stato poco comprensibile e così pure altri nella stagione. Ha avuto fretta di impiegare Milito con la Roma, quando serviva farlo accuratamente guarire per affrontare il Bayern. Talvolta Leo pare in balia dei giocatori.

Sbagliare è umano, perseverare è diabolico.

E per Leo, passato all’Inter, anche peggio. Se Milan e Inter stanno rendendo il campionato così incerto, il merito va ai demeriti. Quelli degli allenatori compresi. Direte: c’è chi sta peggio. Ma non è una consolazione.

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