McGuinn: coi Byrds ho rifondato il folk ora torno alle origini

Il leader della storica band americana canterà in Italia: «La vera trasgressione è la tradizione»

Antonio Lodetti

da Londra

C’era una volta un gruppo di capelluti americani che prese una canzone folk in due quarti scartata da Bob Dylan, la trasformò con gli scintillanti arpeggi della chitarra Rickenbaker 12 corde e con l’eleganza delle armonie vocali, e la portò in vetta alle classifiche pop e alle playlist radiofoniche. Una bella favola quella dei Byrds di Roger McGuinn (ma c’erano anche David Crosby, Gram Parsons e altre stelle del country), la prima band americana che inventò un nuovo suono (anche detto «jingle jangle sound» per contrastare lo strapotere del beat inglese). La ricetta? Folk più armonie alla Beatles = country rock, di cui i Byrds furono indiscussi pionieri arricchendolo poi con venature country, ondate psichedeliche, accenti bluegrass, virate rock. Da loro discendono Eagles e decine di gruppi come Flying Burrito Brothers, America, Nitty Gritty Dirt Band. Per celebrare la loro epopea esce in questi giorni il quadruplo cofanetto (più dvd con dieci apparizioni inedite tra il 1965 e il 1967) There Is a Season con tutti i loro classici - da Mr. Tambourine a So You Want To Be a R’n’R Star, da Turn Turn Turn ai primi vagiti di McGuinn con gruppi adolescenziali come Jet Set e Beefeaters.
Caro McGuinn i Byrds sono ancora una delle band più amate dal pubblico del rock.
«Quando segni una svolta in campo musicale è normale che il pubblico ti ricordi. Abbiamo avuto la fortuna di esplodere negli anni Sessanta, quando molti campi erano ancora completamente inesplorati. Oggi è impossibile inventare qualcosa di nuovo».
E a quell’epoca?
«Il problema è sempre lo stesso. Rimanere fedeli alla tradizione attualizzando i suoni. Noi eravamo fanatici del folk, ma avevamo chiaro in mente che se non l’avessimo rinnovato sarebbe andato in crisi, come accadde al blues. Bisognava mettere insieme il suono dei Beatles, il pop e il country: così la nostra versione di Oh, Susannah è diventata così popolare».
Avete mai incontrato i Beatles?
«Sì, nel ’65 in Inghilterra. Anch’io ho influenzato Lennon; rimase affascinato dai miei occhialini rotondi e da allora iniziò a portarli».
Non faceste fatica a proporre questa musica così strana ai discografici?
«Le novità piacciono sempre, e poi abbiamo avuto in Miles Davis uno sponsor d’eccezione. Lui era interessato a tutte le innovazioni - non a caso qualche anno dopo scandalizzò i puristi partecipando ai grandi festival rock - e ha creduto molto al nostro progetto aiutandoci ad incidere il primo album».
Avete “rubato” Mr. Tambourine Man a Dylan.
«Non esattamente. Abbiamo creduto in quel brano prima di lui, lo abbiamo portato in cima alle hit parade facendo conoscere Dylan al pubblico pop. È vero che lui ha suonato la chitarra elettrica nel ’62 ma estemporaneamente. Noi cominciammo nel ’64 ma divenne il nostro marchio di fabbrica: lanciammo uno stile, il country rock».
Poi però vi siete buttati anche sulla psichedelia e le radio vi hanno addirittura censurato.
«È stato il nostro periodo che io chiamo “science fiction”, ovvero composizioni surreali, spaziali, che si possono anche definire raga rock».
Poi nel ’68, quando gli altri facevano la rivoluzione, siete tornati al puro bluegrass con Sweetheart of the Rodeo.
«I media ci definivano capelloni drogati; quando siamo passati alla musica country sono rimasti spiazzati. La trasgressione migliore è quella di tornare alle origini. Ciò che faccio anche oggi».


Ovvero?
«Ora incido canzoni folk tradizionali col progetto Folk Den e uso internet per farle conoscere a tutti. Ogni giorno pubblico il testo di un brano antico sul mio sito. Chi vuole può farsi una vera cultura popolare. E quest’inverno verrò in tour in Italia da solo con la mia chitarra acustica».

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