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Mea culpa del giudice: non dovevo liberare il killer

Angelo Martinelli: «Ma non per questo mi dimetto. Ci saranno organi competenti a stabilire quanto sia colpevole»

Mea culpa del giudice: non dovevo liberare il killer

da Modena

«Ho sbagliato ed è una pesante condanna che mi porterò dietro per sempre. C'è di mezzo una vita umana e penso a quei tre ragazzi che non hanno più un padre. Quel che è successo è colpa mia...», dice frastornato Angelo Martinelli, il magistrato di sorveglianza del Tribunale di Modena che ha concesso una licenza a Michelangelo D'Agostino, l'ex camorrista che domenica in un parco di Pescara, dove faceva il guardiano, ha freddato un altro uomo con due colpi di pistola. L'ex camorrista, soprannominato «Il killer dei cento giorni» aveva appena finito di scontare 20 anni, ma aveva da scontare un’ulteriore misura di sicurezza, nella Casa di lavoro di Castelfranco Emilia. Da lì la concessione di tre mesi di licenza di lavoro, libero a tutti gli effetti.
«Non ci sono scuse: ho sbagliato - ammette il giudice Angelo Martinelli al centro di un vero e proprio caso nazionale e che vede il parlamentare del Pdl, Isabella Bertolini chiedere l'intervento diretto del ministro di Giustizia -. Il mio giudizio nel concedergli la libertà vigilata si è rivelato errato. Come diceva l'imperatore Adriano “prevedere il futuro non è difficile, basta conoscere bene gli elementi del presente e il loro sviluppo causale”. E io evidentemente, o per una cattiva lettura degli elementi del presente o del loro sviluppo causale, ho formulato un giudizio errato».
A dimettersi non ci pensa il magistrato. «È il mio lavoro, lo faccio da trent'anni e non penso di dire che non farò più il magistrato. A meno che non mi caccino via. La condanna morale di ciò che ho fatto spetta a me, poi ci saranno organi preposti a stabilire quanto io sia colpevole. Chiedere però all'imputato se è giusto che sia condannato è sempre un po' ingeneroso. So solo che ho valutato male. E se questo non si richiede a un comune cittadino, a me si richiedeva».
A chi come Gaia Tortora, figlia del noto conduttore televisivo finito ingiustamente in carcere anche in seguito ad accuse dello stesso ex camorrista D'Agostino, chiede «cosa ci facesse un uomo così spietato fuori dalla galera a gestire un parco giochi?», il magistrato ribatte: «Conoscevo perfettamente il passato criminale di quell'uomo. Era arrivato alla Casa di Lavoro di Castelfranco a inizio anno per scontare la misura di sicurezza applicatagli a fine pena. E aveva manifestato subito ai responsabili della struttura la richiesta di poter rientrare a Pescara dove aveva contatti con la cooperativa della Caritas per un lavoro. A quel punto sono iniziati i controlli, anche attraverso l'equipe composta da psicologi, educatori, responsabili dell'istituto per verificare se la persona fosse nelle condizioni di essere reinserita nel contesto sociale. Con lui ho avuto più colloqui. Oltre il parere positivo dell'equipe della Casa di Lavoro c'era anche quanto avevo letto negli atti del carcere pescarese, dove si spiegava di un suo percorso religioso e del contatto con la cooperativa Caritas disposta ad aiutarlo per trovare lavoro... Insomma, mi aveva dato l’impressione di una persona determinata a cambiare vita».
E al figlio di una delle 15 persone assassinate da D'Agostino che ha scritto indignato al presidente della Repubblica, Martinelli risponde: «Sicuramente dal punto di vista soggettivo questo signore ha perfettamente ragione ad essere indignato.

Sul piano oggettivo però talvolta esistono dei compromessi che fa lo stesso legislatore per ottenere benefici che si risolvono in danno dei singoli ma sono utili magari alla collettività».

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