Sport

Le medaglie nel lager diventano fiction

«L'olimpiade nascosta» racconta le gare tra detenuti e tedeschi in un campo di prigionia al confine tra Germania e Polonia nel 1944. Domenica 27 e lunedì 28 maggio due puntate su Raiuno

Ci sono state nella storia due Olimpiadi che però ai più sono sconosciute: sono la XII e la XIII edizione dei Giochi a cinque cerchi. Sono quelle del 1940 e 1944, ufficialmente non disputate a causa della guerra ma che in realtà furono progettate in uno scenario di morte e distruzione: nei campi di detenzione militari di Langwasser e Woldenberg, al confine tra Germania e Polonia.
Qui i detenuti di varie nazionalità europee progettarono dei Giochi simbolici per riappropriarsi di quella dignità che i nazisti quotidianamente calpestano. Scoperti dai loro aguzzini, accettano la sfida impossibile posta dai tedeschi, intenzionati a disputare davvero le Olimpiadi per dimostrare definitivamente la loro superiorità su di loro. I prigionieri accettano, non perché credono di poterli sconfiggere sul campo - nelle condizioni in cui sono, denutriti e debilitati, sarebbe impossibile - ma perché con l'aiuto della Resistenza, distraendo i tedeschi con le gare, potranno salvare le vite innocenti di donne e bambini rinchiusi in un campo di transito adiacente. Pur essendo i personaggi e le situazioni rappresentati frutto di fantasia, il film vuole onorare quei fatti e gli uomini che ne furono protagonisti, il loro coraggio e il loro insopprimibile senso sportivo.
La fiction di Alfredo Peyretti «L'Olimpiade nascosta», in onda domenica 27 e lunedì 28 maggio, porta alla luce questo episodio della storia riferendosi a quella del 1944, attraverso una vicenda romanzata che racconta le gare sportive all'interno del campo, disputate da prigionieri malconci per riuscire a coprire la fuga di alcuni ebrei da un campo adiacente. Girata in inglese per essere venduta all'estero, la miniserie è prodotta da Luca Barbareschi ed è stata girata a Theresienstadt, l'antica fortezza a forma di stella nei dintorni di Praga, edificata nel 1780 dall'imperatore d'Austria Giuseppe II e trasformata dai nazisti in campo di concentramento e di transito verso i luoghi di sterminio. «La vera sfida - ha spiegato il regista alla presentazione della fiction - era quella di raccontare una storia d'amore e di sport, quindi una storia di sentimenti e di performance fisiche, in un luogo come Theresienstadt, dove morirono 33mila internati». Nella miniserie il prigioniero italiano interpretato da Alessandro Roja si innamora di Kasia, una ragazza polacca interpretata da Cristiana Capotondi, che ha affermato: «Nel film c'è l'epica dello sport e un tema come l'Olocausto, che amalgamate alla storia d'amore credo facciano la forza di questa grande storia».
Di quelle Olimpiadi dimenticate si trova traccia nel Museo dello Sport di Varsavia nel quale sono conservati piccoli oggetti ricavati dal nulla ma essenziali per far rivivere anche all'interno di quei lugubri recinti dei veri Giochi Olimpici: uno straccio consunto con i cinque cerchi dipinti a mano che fu la bandiera del '40, le coppe ricavate con delle gavette, le medaglie disegnate sul cartone, i gagliardetti decorati con il filo spinato quale premio per i vincitori. Vietate prove come il salto con l'asta, per timore di fughe; vietati gli sport di estrazione militare, come la scherma, perchè si temevano sommosse. Eppure ci furono anche allora dei veri e propri eroi. Fra tutti Teodor Niewiadomski, considerato la mente delle Olimpiadi del 1940: si inventò gli inni nazionali suonati di nascosto con un'armonica; introdusse il getto della pietra, non essendo disponibile un peso regolare, mascherò con la biancheria stesa il campo di pallavolo. «Peccato che il Cio (il Comitato internazionale Olimpico) sia finora risultato sordo alle richieste di concedere un riconoscimento morale a quei giochi dimenticati», così il produttore Luca Barbareschi.

Del caso si sta occupando Mario Pescante, vicepresidente del Cio.

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