Il prossimo 31 maggio avrebbe festeggiato l’anniversario. Un anno in malattia. Tutto pagato. Dallo Stato. A spanne, quarantamila euro messi in tasca senza uno sbuffo di sudore o una punta di stress. Anche se, in realtà, non è che stesse così male. Come fosse un acciacco «selettivo». Perché lei, la dottoressa Maria Colavita, non riusciva a lavorare nel reparto di Ginecologia e ostetricia dell’ospedale di Rivoli (Torino), ma nel suo studio privato di Milano - e solo in quello - le visite non erano mai cessate. E senza rinunciare allo svago. Così, in un accesso di salute, si era anche presentata come concorrente in un quiz televisivo. Da ieri, però, il medico è agli arresti domiciliari con le accuse di falso materiale e ideologico, truffa a carico di un Ente pubblico e induzione in errore di un pubblico ufficiale.
Le indagini, condotte dal Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza e coordinate dal pm Tiziana Siciliano, riguardano una condotta - quella tenuta dalla dottoressa Colavita - che nell’ordinanza di custodia cautelare il gip Enrico Manzi definisce «una sequela impressionante di falsità» commesse con «intollerabile e stupefacente disinvoltura», tali da consentirle di «ottenere fraudolentemente il trattamento di malattia», e «continuare a svolgere la professione medica in privato, a proprio esclusivo profitto». E poi - una volta «incastrata» dalle telecamere di Striscia la notizia, insiste il giudice - «si è penosamente difesa negando la sua stessa identità e poi l’evidenza dei fatti».
Perché i fatti, stando all’inchiesta, sembrano lasciare pochi dubbi. L’origine di tutto ha una data precisa: 31 maggio 2007. Quel giorno, la dottoressa Colavita scivola sulle scale dell’ospedale di Rivoli. Si presenta al pronto soccorso per una radiografia. Esito negativo. Le lastre non rilevano l’esistenza di alcuna frattura. E la prognosi è di solo una settimana. Due giorni dopo, però, la previsione cambia.
Il medico prende i ricettari e i timbri di un collega - che con troppa leggerezza decide di lasciarglieli usare - e si autocertifica una «frattura della quarta vertebra sacrale». Totale, altri 20 giorni di malattia, che diventano 50 a distanza di un paio di settimane, a cui se ne aggiungono altri sei a metà luglio e avanti così fino a sfiorare i dodici mesi di assenza dall’impiego pubblico. Parallelamente, però, prosegue l’attività nello studio privato dove la donna è urologa.
Un comportamento che indispettisce (e non poco) i suoi colleghi. Ma la goccia che fa traboccare il vaso è un’altra. Il vaso trabocca quando qualcuno la nota in un programma televisivo. Lei, concorrente a «I soliti ignoti» di Fabrizio Frizzi, quiz in prima serata su Rai 1, quando erano mesi che nessuno la vedeva più nel reparto di Ginecologia della clinica piemontese perché malata. E scatta la segnalazione agli inviati di Striscia. Ma nonostante la brutta figura rimediata dalla dottoressa davanti alle telecamere del tg satirico, il quadro non cambia.
Quasi un anno di falsi attestati, però, non sono cosa da poco. Così, secondo l’accusa, Maria Colavita s’ingegna. E un sintomo che su un certificato viene indicato come «soggettivo» (cioè percepito solo dal malato) diventa «oggettivo» (quindi, clinicamente dimostrato), un ricovero mai avvenuto all’ortopedico Gaetano Pini viene attestato da una lettera di dismissioni firmata da un medico inesistente, un certificato falso della clinica Mangiagalli è compilato per avere un «alibi» il giorno in cui la visita fiscale non l’ha trovata in casa, un’altra frattura le è diagnosticata in una clinica di Paderno Dugnano, fino a presunte crisi malariche provocate da un soggiorno in un villaggio turistico di Zanzibar, dove la dottoressa sostiene di aver lavorato. Nemmeno a dirlo, durante il congedo per malattia.
Al momento, nessuno dei medici i cui nomi compaiono nei certificati presentati dalla Colavita è indagato.
Saranno gli inquirenti a stabilire se qualcuno l’abbia agevolata nella falsificazione dei documenti, o se la truffa sia frutto esclusivamente della sua iniziativa. Lei che prima dell’arresto ha tenuto a dire ai finanzieri che «me ne vado in Svizzera», perché - e non sfugge il tono di paradossale minaccia - «non ho più fiducia nella giustizia italiana».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.