Il medico "convertito": "A volte funziona davvero, l'ho imparato dai pazienti"

L’omeopatia? Non è acqua profumata in boccetta come dicono in molti. Parola Tiziano Scarponi (nella foto), medico di famiglia, con 20 anni di esperienza alle spalle.
Dunque dottore, anche lei si è convertito all’omeopatia?
«Sì, ma la considero un’integrazione alla medicina tradizionale. Anche se a volte cura efficacemente certe patologie irrisolte dai farmaci tradizionali».
Mi faccia un esempio.
«Una mia paziente aveva un’orticaria cronica. Era stata trattata con antistaminici. Migliorava temporaneamente e poi il prurito ricompariva. Io le ho dato Lapis, Sulfur e Belladonna e dopo dieci giorni ha risposto positivamente. Si è ripulita totalmente, da due anni sta benissimo».
Un caso?
«No, certi rimedi omeopatici funzionano davvero. Per il colon irritabile, per esempio, oppure per i dolori articolari di tipo traumatico come le contusioni, per le allergie stagionali, per la febbre».
Ma se arriva un paziente con un attacco di appendicite?
«Lo spedisco di corsa in ospedale. Ma anche un paziente con un attacco d’asma acuto non mi sognerei mai di curarlo solo con un rimedio omeopatico. E a mia moglie che ha avuto una broncopolmonite ho dato l’antibiotico senza tentennamenti».
E invece quando preferisce le goccine omeopatiche?
«In alcune terapie croniche, nei disturbi di menopausa, per abbassare il colesterolo. Molte cure funzionano anche per disturbi di tipo psichico, nella lieve depressione».
Com’è nato il suo interesse per l’omeopatia?
«Inizialmente per curiosità, sono stati i pazienti a farmi scattare la molla. Venivano per la diagnosi poi mi dicevano: grazie dottore ora cerco una cura omeopatica per evitare farmaci. E andavano dal farmacista a farsi consigliare. Mi sentivo un po’ inutile».
E dopo tanti anni di professione si è rimesso a studiare.
«Ho iniziato a documentarmi e ho scoperto che certi presupposti storici non sono del tutto estranei alla cultura scientifica, come il concetto del drenaggio e delle tossine che generalmente vengono combattute con antiossidanti».
Basta leggere per diventare un esperto?
«Assolutamente no. Ho anche frequentato un corso triennale a Perugia e mi sono avvicinato alla clinica omeopatica».
Ma quei docenti sono tutti attendibili?
«Io ho avuto la fortuna di incontrare professori pragmatici. Però nei corsi alternativi s’incontrano pure personaggi strani. Nelle lezioni di alcuni si respira aria di sacrestia».
Quindi anche voi medici dovete andare con i piedi di piombo?
«Certamente. Gli apprendisti stregoni vanno evitati e all’interno della nostra professione sto lavorando per ottenere garanzie che tutelino sia il medico sia il paziente».
Ecco, come evitare gli imbroglioni?
«Purtroppo non ci sono regole certe, mentre servirebbe un controllo su chi pratica l’omeopatia. Basterebbe, per esempio, stabilire delle liste dei medici di famiglia che hanno fatto corsi accreditati e affidarsi solo a questi».
Ma per i medici non è un doppio lavoro?
«No, se l’omeopatia viene integrata con la medicina tradizionale. In pratica una patologia può venire curata in un modo o nell’altro, oppure in modo integrato e al paziente non costa di più una visita».
Per vedere i risultati di una cura omeopatica quanto si deve aspettare?
«L’omeopatia risponde in pochi giorni. Se non funziona bisogna lasciare perdere e tornare alla medicina convenzionale».
Molti dicono che i composti omeopatici non sono validi da un punto di vista scientifico.
«Dipende dalla concentrazione.

Entro certi livelli il principio attivo del metallo, della pianta o del veleno che viene usato è presente. Se invece la diluizione è troppo alta sparisce. Io sono a favore di una diluizione bassa che garantisce il principio attivo, eccetto che per i disturbi psichici dove serve necessariamente una diluizione alta».

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