Il medico: «L’arte può guarire»

Il medico: «L’arte può guarire»

«È triste dirlo? Ma è andata proprio così. Tutto è partito l’anno scorso da un duplice suicidio». Armando Gozzini è direttore generale dell’azienda ospedaliera Sant’Antonio Abate di Gallarate - uno degli sponsor-mecenati del libro Beyond the dark. Al di là del buio di Luca Artioli (Mondadori) - e ci racconta come è nato questo progetto insolito, se non proprio sconveniente, dal momento che la depressione ha un suo appeal solo quando rimane «morbida», abbordabile, non certo quando viene rappresentata e trasfigurata in tutta la sua angosciosa durezza, come nel caso delle fotografie di Artioli.
«Il suicidio della sorella del fotografo - continua Gozzini - e quello della sorella di una nostra amica comune. Sono avvenimenti che ti obbligano, anche se non vuoi, a interrogarti in modo non banale sulla depressione e le sue estreme conseguenze. Quasi per autoterapia, Artioli ha scattato foto molto toccanti, almeno per me è stato così, quando le ho avute davanti».
Cosa vi ha visto, con gli occhi dell’anima?
«Tutta l’incomunicabilità e la sensazione di brutale impotenza verso il mondo di cui soffre il depresso. E il suo rimanere attonito davanti alla vita, fino ad arrivare all’apatia totale. Ero coinvolto anche perché all’ospedale stiamo rafforzando il reparto psichiatrico, anche riguardo l’aspetto gestionale. Le malattie psichiche sono subdole e stanno guadagnando terreno: il 10 per cento dei cittadini della Lombardia, circa 800mila persone, sperimenta nel corso di un anno un episodio depressivo o ansioso. Pochi si curano. Occorre che il servizio psichiatrico al cittadino migliori sempre più».
Arrivano molti depressi al Sant’Antonio Abate?
«Sì, soprattutto in questo periodo di crisi. Ci sono persone che cadono in depressione per questioni lavorative, per paure concrete riguardo l’esistenza, persino a causa del caro prezzi. In questa crisi globale se una persona in difficoltà non si deprime vuol dire che è veramente forte. Altri invece arrivano per ragioni più introspettive, legate a una separazione, a un lutto, un abbandono. Queste sono le due casistiche principali, tanto nella provincia di Varese quanto a Milano, come mi confermano i colleghi del Fatebenefratelli, dove ho lavorato».
È piuttosto insolito che un’azienda ospedaliera si faccia portatrice del connubio «arte e depressione»...
«Pensi che Al di là del buio diventerà anche una mostra, prima nel nostro ospedale, poi a Milano. Il percorso del libro è ottimista. Le fotografie delle ultime pagine hanno una luce diversa, sono attraversate - come dicono i versi di Artioli che le accompagnano - da un “vento di rinascenza”.

Suggeriscono a chi sta in ospedale che in un luogo di sofferenza come quello non c’è solo la malattia, ma anche la speranza. E con la speranza, l’arte. Che quando è vera arte riduce al minimo gli effetti della malattia».

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