Medio Oriente Peres sta meglio e incontra l’inviato Usa

Ha trascorso la notte in ospedale dopo il collasso pubblico di sabato sera, ma all’appuntamento con l’emissario americano, George Mitchell, giunto in Israele per provare a disporre gli ultimi tasselli sull’accidentato cammino dei tentativi di rilancio del processo di pace, il presidente israeliano Shimon Peres non è voluto mancare. Pronto ad affrontare i flash per dare un contributo d’ottimismo e dirsi convinto che - malgrado le dichiarazioni ancora interlocutorie dei protagonisti sullo spinoso tema preliminare del congelamento degli insediamenti ebraici in Cisgiordania (300.000 abitanti) e a Gerusalemme Est (oltre 200.000) - il negoziato possa ripartire davvero entro fine settembre. Dimesso dai medici di prima mattina, il presidente-premio Nobel per la pace, 86 anni compiuti, è tornato al lavoro a tambur battente. Pallido, ma in discrete condizioni - dopo il malore, dovuto probabilmente ad affaticamento, patito sabato durante un discorso - si è intrattenuto col plenipotenziario di Barack Obama per il Medio Oriente nella sua residenza di Gerusalemme. E dopo i ringraziamenti di rito per gli auguri ricevuti da mezzo mondo, non ha mancato di ribadire la sua professione di fiducia sulle prospettive di rilancio del negoziato con i palestinesi, fermo ormai da mesi. L’importante - ha sottolineato Peres - è non perdere l’occasione di una ripresa dei colloqui entro fine mese.

Ripresa che Obama vorrebbe avviare in un vertice a tre col premier israeliano, Benyamin Netanyahu, e il presidente dell’Anp, Abu Mazen, durante i lavori dell’assemblea generale dell’Onu del 23 settembre. Un’ambizione che Mitchell non ha rinnegato, presentando la sua ennesima missione in Medio Oriente come un passaggio forse determinante per «cercare un’intesa».

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