Mediobanca ai suoi soci: è l’ora di scendere

La difesa dell’istituto dalle mire dei grandi gruppi creditizi. Il nodo del cda del Leone

da Milano

Mediobanca annuncia di voler modernizzare le regole della propria governance. Ma nel farlo coglie l’occasione per garantirsi una maggiore autonomia, per rimettersi, se così si può dire, al centro del sistema finanziario, e per difendersi dalle mire delle grandi banche nazionali. E lo fa anche stringendo a sé la sua creatura, le Generali, di cui detiene la maggioranza relativa del 14%. E di cui punta a difendere, anche qui, l’indipendenza dalle banche azioniste (e in Generali ci sono tutte: non solo Unicredito e Capitalia, i due grandi soci di Mediobanca, ma anche Intesa e Mps).
Le avvisaglie delle nuove iniziative di Mediobanca si erano avute già da giorni, dalla formazione del patto di consultazione sul 23,2% di Telecom, stretto insieme con Pirelli, Benetton e le stesse Generali. Con l’impressione che quest’ultima fosse stata coinvolta per volere del suo maggiore azionista. Il resto è arrivato tra sabato scorso (nell’assemblea Gabriele Galateri ha parlato di nuova governance per Mediobanca, e il direttore generale Alberto Nagel di una modernizzazione delle Generali) e ieri, quando Nagel, nella conference call con gli analisti, è tornato sul tema lanciando nuovi segnali.
«Ci piacerebbe vedere diminuire la quota del patto sotto il 50%», ha detto a chi gli chiedeva come fare per aumentare il flottante (nel patto è conferito il 53% del capitale). E «sarebbe interessante se le due banche azioniste con la nuova governance avessero quote meno consistenti vincolate al patto». In altri termini, in vista della nascita dell’auspicato sistema «duale» (o, in alternativa, della nomina di un ad), Nagel si augura che Unicredit e Capitalia (oggi nel patto con il 9% a testa) si ridimensionino. Il tema è di attualità perché il patto è in scadenza (le disdette vanno date entro marzo). Tanto che il dg ha anche detto che la banca «è aperta all’ingresso di nuovi soci». In ogni caso l’affermazione è forte sia per i contenuti, sia per il tono con il quale il management di Mediobanca prende posizione rispetto ai suoi soci. Un chiaro segnale del vigore con cui Mediobanca si appresta ad affrontare la stagione del rinnovo del patto, il primo dopo la quadra tra i soci trovata nel 2003, in occasione della defenestrazione di Vincenzo Maranghi.
Idem per le Generali: in primavera scade il cda frutto di quello stesso accordo del 2003, quando Unicredito, Capitalia, Intesa e Mps scalarono la compagnia per stringere Maranghi all’angolo. Sul Leone Nagel aveva parlato sabato di «miglioramento della governance per adeguarla agli standard internazionali». Senza riferirsi al sistema duale (non se n’è mai parlato a Trieste), ma alla composizione di un cda più indipendente. Forse anche meno «paludato».

Un riferimento che, per forza di cose, dev’essere qualitativo: nel cda delle Generali ci sono 12 consiglieri indicati dal gruppo come «indipendenti» su 18. Quindi non è un problema di numero. Ma, forse, di definizione di «indipendenza» per chi, a ben guardare, è stato indicato proprio dalle banche.

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