Mediobanca, Bolloré «possibilista» su un nuovo vertice

Nelle vicende dov’è in gioco il potere vero, anche frasi apparentemente banali subiscono il torchio delle interpretazioni. Ieri Vincent Bolloré, il finanziere bretone che siede nel consiglio di amministrazione di Mediobanca, interpellato su un possibile cambio alla guida dell’istituto di Piazzetta Cuccia, ha detto: «Ci sto riflettendo». Da qui, qualcuno ha subito azzardato: «Bolloré scarica Bernheim».
Spieghiamoci. Bolloré rappresenta i soci francesi di Mediobanca, che pesano per il 10% circa. Mediobanca è il primo azionista delle Generali. Qui, insieme a tutto in consiglio, è in scadenza il presidente, francese pure lui e sostenuto dai francesi: Antoine Bernheim, 86 anni in settembre e 3,2 milioni di compenso annuo. Vicino a lui il 75enne Cesare Geronzi, presidente di Mediobanca, appare un giovanotto: ed è il più accreditato a sostituirlo, nonostante in più occasioni si sia schermito. Se Bernheim lascia e Geronzi va alle Generali, ecco libera la poltrona che fu di Francesco Cingano. Quel: «Sto riflettendo» pronunciato ieri da Bolloré è un’autorevole apertura proprio a questo «gioco di tria», tuttora pieno di incognite.
Fonti vicine al formarsi delle decisioni mostrano sicurezza: «Nessun dubbio che Bernheim se ne vada», ma il dubbio è ancora su chi andrà al suo posto. Molto probabile che rimanga presidente onorario, come dorata compensazione. Il calendario comunque comincia a stringere: il 24 aprile si svolgerà a Trieste l’assemblea della compagnia di assicurazioni; 15 giorni prima, quindi entro il 5 aprile, dovranno essere pronte le liste per il consiglio. Prima di quella data, il comitato nomine di Mediobanca deciderà; o meglio, prenderà atto della volontà espressa dai soci maggiori di Piazzetta Cuccia, a cominciare da Unicredit. Vi fanno parte lo stesso Geronzi, i due vicepresidenti Dieter Rampl e Marco Tronchetti Provera, i due top manager Alberto Nagel e Renato Pagliaro, e - appunto - Vincent Bolloré.
Di Bernheim si ricorda una frase pronunciata nel giugno dello scorso anno (quando si tratta di presidenze di questo livello la si prende alla lontana): «Io non mi candido, ma se gli italiani me lo chiedono, sarò felicissimo di restare». Poi aveva ironizzato sulla «lunga lista dei suoi potenziali successori». «É così lunga - aveva detto - che sarà difficile scegliere. Il che mi fa piacere». E dopo aver ricordato i suoi 11 anni di guida delle Generali, aveva concluso: «Temo che gli italiani ne abbiano abbastanza di noi francesi».
Di Geronzi, si ricordano affermazioni più recenti e molto nette, fatte all’assemblea di Mediobanca il 28 ottobre: «Non ho alcun interesse alla presidenza di Generali - ha detto rispondendo a un azionista -. Non ho difficoltà a ripeterlo perchè non è la prima volta che fate questa domanda in assemblea e che io rispondo. Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire». Prendendo a prestito un paio di frasi dal mondo del cinema, vedremo se «un uomo vale quanto la sua parola» (Harrison Ford, Sotto il segno del pericolo, 1994), oppure se è vero che «chi desidera non considera» (Tina Pica, Il segno di Venere, 1955).
Geronzi sembra il candidato principale per le Generali (più 0,36% in Borsa). Ma oltre al suo nome non si è mai smorzato quello di Paolo Scaroni, ad dell’Eni e già consigliere a Trieste, ed è stato lanciato anche quello di Tommaso Padoa Schioppa, ex ministro dell’Economia.

Dovesse restare libera la poltrona di Piazzetta Cuccia (ieri più 2,08%), il gioco di tria avrebbe bisogno di una nuova pedina di livello. I nomi finora circolati (Tronchetti Provera, Vittorio Grilli, Lamberto Cardia) sono rimasti privi di grande eco.

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