Medioevo superstar con la Sandrelli e von Trotta registe

Medioevo superstar d’autunno. E mentre, man mano, le luci intorno a noi si affievoliscono, di colpo rifulgono gli eroi di un periodo storico, quello compreso tra l’antichità classica e l’età moderna, tutt’altro che buio e regressivo, come ormai la storiografia riconosce da anni. Nell’epoca di mezzo si ambienta infatti Barbarossa (dal 9 nelle sale), l’atteso kolossal di Renzo Martinelli, che vede il bionico Rutger Hauer nel ruolo di Federico di Hohenstaufen, noto come Barbarossa. L’imperatore del Sacro romano impero (1152-1190), che si richiamava alla figura di Carlo Magno e alla tradizione imperiale romana, sul grande schermo dovrà vedersela con il milanese Alberto da Giussano, impersonato da Raz Degan, fascinoso quando l’elmo lucido da condottiero della Lega Lombarda gli sottolinea l’esotico sguardo, durante la battaglia di Legnano (29 maggio 1170), filmata con accenti alla Braveheart.
Ma un’altra potente icona medievale, legata a Barbarossa, nel frattempo s’affaccia dal Festival internazionale del film di Roma, dove il 21 sfilerà Vision, l’ultima fatica di Margarethe von Trotta, una delle autrici più significative del nuovo cinema tedesco, pronta a ritrarre la germanica Ildegarda di Bingen (1098-1179), religiosa benedettina, guaritrice, compositrice (nel film, sua la colonna sonora), esoterista, erborista e visionaria, oggi quasi popstar spirituale della corrente new-age anglosassone. Nei panni monacali c’è Barbara Sukowa, che qui rilancia il cinema conventuale, tra il monastero di Magonza e miserere notturni, alte finestre sui chiostri e visi pallidi delle monache, devote all’ora et labora. Venerata come santa dalla Chiesa, Hildegard von Bingen, veniva consultata spesso dal Barbarossa, al quale vaticinò la morte per annegamento nel fiume Salef, in Cilicia. La von Trotta, attenta alle complesse relazioni interne alle comunità femminili, stavolta fa d’una monaca una diva, con un film grafico, dove le visioni sono appena accennate, mentre il lato anticonformista di Ildegarda (una consorella resta incinta e lei fonda un monastero per sole donne; l’uso del cilicio la repelle, si mette contro Roma) è sottolineato con decisione. Per ora, nessun distributore italiano ha acquistato Vision, un film che dà pace e serenità, tra la sapienza erboristica d’Ildegarda e la quiete dei chiostri. Vedremo se il nostro pubblico saprà capire l’incanto di certe atmosfere.
Ed è curioso che un’altra donna di cinema, emancipata e femminista come la von Trotta, però più sexy e trasgressiva, gusti a sua volta la bellezza della miniatura conventuale, tra pergamene e castelli. Stiamo parlando di Stefania Sandrelli, al suo esordio in regia con Christine Cristina, fuori concorso all’Auditorium. «Penso a un Medioevo femminile, fatto di colori, intimità, ninnenanne», dice lei, che ha diretto sua figlia Amanda, qui come Cristina da Pizzano, prima donna «uomo di lettere», tra la corte di Carlo V e la Francia del XV secolo.

C’è una sorellanza tra Ildegarda e Cristina, eroine anarchiche pre-femminismo, Medioevo a parte? Sicuramente nell’amore per le lettere e nelle loro reazioni agli stessi modelli d’identità sessuale, esemplari a distanza di secoli.

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