Medioriente, il Governo è diviso su tutto

Gianstefano Frigerio*

La risoluzione 1701 dell’Onu rivela, nella sua retorica prosopopea piena di ambiguità e di incertezze, un drammatico stato di impotenza ed una gravissima crisi senza sbocco; come dice lucidamente Lucio Caracciolo «La missione viene mandata per disperazione perché si ritiene che non ci siano strumenti politici e negoziali per far cessare le ostilità».
Nonostante lo scenario di partenza e le evidenti complicazioni di tutto il quadrante mediorientale, dove la strategia di un polo sciita sta influenzando le iniziative della Siria, di Hezbollah, di Hamas: nonostante dunque uno scenario irto di pericoli e di incongruità, bene ha fatto l’Ue ad assumere, dopo un inizio pieno di incertezze e di divisioni, un ruolo attivo e costruttivo in quest’area mediterranea. È quindi giusto che l’Italia faccia la sua parte di pacificatrice in questo quadrante strategico per la nostra politica estera; e la nostra solidarietà verso i nostri soldati è piena ed attiva. Però il Libano non è la Crimea; e Prodi non è Cavour. Su tutta la vicenda, il Governo Prodi ha dispiegato un’enfasi eccessiva, ingenua, un’ansia scopertamente patetica di approvazione, un esibizionismo un po’ provinciale da parvenu degli scenari mondiali («Bye bye Condy»).
Insomma la tentazione di sacrificare problemi enormi alle piccole logiche della politica interna, alle esigenze di immagine, all’ossessione dell’apparire. Eppure la situazione è molto difficile e le incognite sono enormi e gravide di tragedie: chi disarmerà Hezbollah? Perché la Siria non vuole «caschi blu» sul proprio confine? E la crisi iraniana non influenzerà i «giocatori» della crisi libanese? Il fronte palestinese troverà una composizione al suo interno? Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu e l’Ue sono profondamente incerti e divisi sulla crisi iraniana; tutto ciò influenzerà evidentemente lo scenario libanese. Ma anche il governo italiano è profondamente diviso sugli scopi della missione di pace e nei giudizi politici sui singoli protagonisti del dramma libanese. C’è in alcune forze governative una contiguità ambigua con un pacifismo antisraeliano, antioccidentale, antiamericano, giustificazionista verso gli atti terroristici di Hezbollah e di Hamas; c’è l’arroganza illuministica o l’illusione superficialmente sprovveduta di far evolvere Hezbollah verso forme politiche prive di tentazioni terroristiche, dimenticando con ciò le strategie iraniane di costruzione di un polo sciita; c’è una sorta di «spirito di Monaco» verso la Siria e l’Iran; c’è la convinzione che la sicurezza di Israele sia un problema secondario. Tutte queste anime si agitano «nella granitica compattezza» della strategia governativa sulla missione libanese. E la passeggiata del ministro degli Esteri per le vie di Beirut a braccetto con autorevoli esponenti di Hezbollah è il caleidoscopio di queste pericolose contrapposizioni dentro l’area di Governo.
Ma i nodi politici restano tutti: il giudizio su Hezbollah ed Hamas, i rapporti con l’Iran e la Siria, la sicurezza di Israele. E su questi nodi politici il governo è profondamente diviso.

Il nostro appoggio alla missione di pace è solido e leale, ma su una linea politica limpida il cui nodo prioritario resta la sicurezza di Israele; in secondo luogo la lotta senza cedimenti al terrorismo fondamentalista; la soluzione della crisi palestinese attraverso la formula «due popoli, due stati, due democrazie».
*parlamentare di Forza Italia

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