Se ne sta lì, fra gli ulivi e il deserto, fra chiese e moschee. Se ne sta adagiato in mezzo a tre continenti, a fare da paciere, da ponte. Luogo di confine, il Mediterraneo. Luogo sconfinato, eppure corridoio chiuso, inizio e fine di tutto. In senso storico, geografico ed estetico. Le sue acque sono ora oggetto di una mostra carica di significati. Alla Pinacoteca Provinciale di Bari, città strategicamente perfetta per parlare del Mare Nostrum, fino al 5 marzo è allestita «Mediterranea» (catalogo Federico Motta), collettiva di 250 immagini di grandi maestri della fotografia chiamati a interpretare col loro sguardo questo angolo del pianeta, le sue contraddizioni, i suoi segreti.
Attraverso lobiettivo di autori come Olivo Barbieri, Ferdinando Scianna o Gianni Berengo Gardin si sgretolano tutte le banalizzazioni delle quali questo mare è vittima. Dallo stereotipo del bel sole emerge un posto della memoria che racconta drammi e storia e miti, travolto dai ritmi incalzanti del contemporaneo. Un tempo teatro del viaggio-metafora di Ulisse, oggi questi porti e questi scogli, crogiolo di una variopinta umanità, vedono passare pescherecci, traghetti e transatlantici carichi di turisti festanti e genti in movimento. Tra le fotografie esposte ci sono quelle di Gabriele Basilico, che testimoniano la distruzione della guerra passata su Beirut. O quelle di Mimmo Jodice e di Izzet Keriab, che parlano dei reperti archeologici. E poi la violenza fatta allambiente nella cupa Porto Marghera di Moreno Gentili, o le tracce del presente, di gabbiani e onde, lette sulla sabbia dalla fotocamera di Marialba Russo e Achilles Evangelou. Ci sono anche i bagnanti, da Peschici a Monopoli, da Almeria a Metaponto.
Questo bacino azzurro che ha cullato sirene e marinai, oggi è attraversato da scafisti e disperati in cerca di un posto decente dove vivere, anche a costo della vita. Nella selezione di opere, curata da Clara Gelao, non cè una celebrazione di colori e bellezza.
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