nostro inviato a Mosca
È stata una campagna elettorale assurda e non solo perché il risultato delle presidenziali di domani è ampiamente scontato. In giro per Mosca non si vedono cartelloni elettorali, nessuno distribuisce volantini e i settimanali ieri mattina hanno dedicato le copertine a fatti di costume anziché al voto. Eppure Putin in serata ha lanciato un solenne appello invitando i russi a recarsi in massa alle urne, perché chi assumerà «la grande responsabilità di guidare il Paese» ha bisogno di «fiducia da parte della società» per «continuare sul cammino del riforme». E così sarà: il suo delfino Dmitri Medvedev vincerà con ampio margine. Insomma, tutto nella norma, se non fosse per un dettaglio: Medvedev è stato un candidato fantasma.
I russi lo hanno visto - e tanto - in Tv, ma nelle vesti di viceprimo ministro, non di pretendente al Cremlino. La strategia elaborata dai suoi spin doctor è risultata opposta rispetto alle legislative di dicembre, quando la propaganda in favore del partito putiniano Russia Unita fu martellante e invasiva. Questa volta gli «stregoni del consenso» hanno preferito trasformare gli impegni ufficiali di Medvedev in eventi elettorali, senza dichiararlo. Improvvisamente ha moltiplicato le visite in varie regioni del Paese, venendo accolto, oltre che dalle autorità locali, anche da varie assemblee in rappresentanza della società civile. Il tutto davanti alle telecamere, che in questi giorni hanno propinato agli elettori interminabili telecronache, e mostrandosi, sovente, in compagnia di Vladimir Putin, che, secondo copione, gli ha tirato la volata. Talvolta con episodi imbarazzanti, soprattutto durante i primi incontri di gennaio, quando il presidente uscente dava ordini e il successore designato si affrettava a prendere nota come un portaborse qualunque. Come dire: il capo resterà lui. Ma sarà davvero così?
Ufficialmente Putin dovrebbe assumere la carica di primo ministro, ma in queste ore si moltiplicano le voci secondo cui Medvedev sia destinato a essere un presidente a tutti gli effetti. «Il nome del presidente non conta, perché il vero potere è in mano a un gruppo di persone che resta dietro le quinte», afferma Shod Muladzhanov, direttore della Moskovskaya Pravda, una delle poche voci libere della stampa russa. «I silovicki, ovvero le forze di sicurezza, hanno deciso di rinunciare a un leader popolare come Putin per sostituirlo con una persona moderata, garbata nei toni. E questo allo scopo di cambiare la percezione che in Russia comandi il Kgb. È un'operazione cosmetica, in realtà non cambierà nulla».
Ma otto anni di martellante campagna sul mito dell'uomo forte hanno lasciato il segno, rinvigorendo latenti logiche zariste. Per accorgersene basta recarsi nella via Pereyaslavskaya a Mosca, dove Medvedev ha aperto la sala dei ricevimenti del popolo. Lui, ovviamente, non si fa vedere, ma la gente lo ha preso in parola e sta in coda al gelo per consegnare ai suoi rappresentanti una supplica, come si usava nel medioevo, quando i sudditi chiedevano udienza al re o ai signorotti locali nella speranza di risolvere i propri problemi. In teoria in Russia le istituzioni ci sono: tribunali, commissariati, ospedali, ministeri. Ma la corruzione è talmente diffusa da rendere vano il ricorso alle vie ufficiali. E ai cittadini non resta che confidare nelle benevolenza del presidente; ieri di Putin, domani di Medvedev. Talvolta per problemi risibili: la lite col vicino, un posto nell'asilo pubblico; più spesso per questioni serie: gente che passa l'inverno al gelo nelle case, migliaia di risparmiatori vittime di truffe.
La Russia risplende ed è sempre più ricca, grazie al petrolio e al gas, ma al popolo finiscono solo le briciole. «Sempre meglio di quando si moriva di fame», è il ritornello della maggior parte degli elettori.
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