Stenio Solinas
nostro inviato a Venezia
«Deve essere lopera di un artista russo, slavo, comunque» dice la mia amica con la fissa per larte contemporanea. «Per via dei cartoni?» chiedo io. «Per via dei calzini» risponde lei. Lopera darte è composta da una serie di scatole aperte sulla base delle quali è poggiato un video. Nella prima cè una donna nuda e in progressione tre maschi in brache e pedalini che mimano lingroppata. Nella seconda lei è sempre nuda, ma vista di natiche e piegata e i tre la superano come se saltassero la cavallina. Nella terza... «Vedi» fa trionfante la mia amica, «è come dicevo io. Il catalogo dice che sono i Blue Noses, vengono da Mosca». Il catalogo è uno e trino, tre volumi per complessive 800 pagine e fino a quel momento mi ero rifiutato non solo di portarlo, ma persino di vederlo. «Saranno pure i Blue Noses, ma lopera riprodotta non è la stessa» insisto pedante dopo averci dato finalmente uno sguardo. «Però i calzini, le mutande e le pance dei protagonisti sono eguali. Una volta ho avuto un fidanzato russo, un pittore: faceva lamore tenendosi indosso i calzini. Ho capito subito che cera unaria di famiglia» prosegue lei implacabile. «Le mutande, almeno lui, le toglieva?» chiedo con finto disinteresse. «Sei il solito str...».
Fa caldo e i Giardini e gli spazi aperti dellArsenale che ospitano la 51ª Biennale dellArte di Venezia bruciano sotto il sole. Prima dei russi abbiamo visto un ippopotamo di fango, e tuttintorno fogli sparsi di giornali stranieri. Sullippopotamo è seduto un giovane assorto nella lettura. «Magari è la simbiosi fra umanità e animalità» arrischio. «No, non fa parte dellallestimento Hope Hippo di Jennifer Allora&Guillermo Calzadilla. È un visitatore che sta leggendo Repubblica». «E monta in groppa allopera darte?». Lei mi guarda disgustata: «Ma tu credi ancora, nel Duemila, alla sacralità dellarte? Oggi è tutto in progress, è confronto, scontro, appropriazione. Senti cosa dice lintroduzione al catalogo...». «No, grazie, godo sulla parola». «Te lo ripeto, sei il solito str...».
Un po di refrigerio lo danno i padiglioni coperti. Allinterno di quello denominato Italia cè una specie di aspirapolvere appeso al soffitto che si muove facendo un antipatico ronzio. Supero a passo di carica delle sale in cui lopera darte è un corridoio di legno, e devi passarci in mezzo, un corridoio di mattoni, malta e ventilatori dai quali soffia il vento, delle scale di metallo appese alle pareti. Finisco in una saletta buia dove vengono proiettate le immagini di un film. Arrivo che siamo alla fine e sullo schermo appare il volto sorridente e grassoccio di Gore Vidal che annuncia la prossima uscita, «nei cinema vicino a voi», di Caligula. «Che centra Vidal con la Biennale?» chiedo alla mia mentore. «È un pretesto» risponde serafica. «È la rilettura di un artista italiano, Francesco Vezzoli, di come Vidal vede lAmerica, sesso e potere». La proiezione riparte e per i successivi cinque minuti è un susseguirsi di natiche maschili e femminili, erezioni, emissioni di umori, fellatio... «Non vorrai stare qui tutto il pomeriggio» dice lei con tono severo quando il faccione di Vidal alla fine ricompare. Esco a malincuore.
Nel padiglione israeliano cè una specie di struttura in legno stile Ikea. Un video mostra lartista mentre la costruisce. toglie e mette i chiodi, assembla i pezzi, la monta, la rimonta. «Si chiama Guy Ben-Iver e lopera ha nome Treehouse-Kit» dice la mia amica. «È una visione crusoiana dellarte». «Crusoche?». «Crusoiana, da Robinson Crusoe, leroe di Daniel Defoe, luomo lasciato a se stesso e che piega la natura al suo volere. Ecco, guarda, qui nel catalogo cè tutto il suo percorso e questo è lautore, vedi, non ha la barba come nel video, ma è lui». «La barba gli sarà venuta creando» bofonchio. «Sei il solito str...».
Al padiglione britannico mi allargo un po: «Sono Gilbert & George» dico con il tono da cicerone. «Cominciarono negli anni Sessanta, una tecnica mista, fotopittorica, loro due come soggetti...». «Sono superati» mi interrompe lei implacabile. «Da quarantanni fanno le stesse cose. È meglio la francese, Annette Messager, vieni, è qui di fronte». La Messager ha riletto, mi dice, lopera di Pinocchio e un cartello avverte un po minaccioso allingresso che per vedere lintera performance artistica, divisa in più sale, ci vuole più di mezzora. In una sala cè un pinocchietto di stoffa che corre su una specie di trenino. In unaltra un manto di cuscini rossi che si alza e si abbassa. Nella terza un tappeto elastico manda per aria degli stracci e subito dopo parte un botto. Ci sono bambini che ridono e gridano ogni volta che gli stracci volano e il petardo scoppia.
Davanti al padiglione nordico mi confesso vinto. Cè un video nero e più in là una serie di libri dalla copertina nera. Lopera si chiama, appunto, Il video nero e il catalogo nero... «È un inno alla concisione» azzardo. «Ma no, non hai sentito cosa diceva il pittore albanese Adrian Paci, in quel video esposto allArsenale?». «No, cosa?». «Che unopera darte può essere sia un quadro sia un certificato di morte. Capisci?». «Certo, anche un cimitero è un museo...». «Sei il solito str...».
Allingresso dei Giardini cè una scultura che rassomiglia a quel grattacielo-hotel di Dubai, il più caro del mondo. «Devessere una sponsorizzazione araba». «No, è uninstallazione italiana, Mare verticale, di Fabrizio Plessi». «Quello però deve averlo inviato qualche membro del Klu Klux Klan» faccio indicando un mascherone bianco, una specie di gigantesco sacco in cui sono stati ritagliati gli occhi. «È la sua morte e risurrezione in altra forma. Vedi, gli occhi piangono, si chiama Ceremonial Cryng, appunto, è di un albanese anche questo. È unopera insurrezionalista». «Poi dice che uno si scopre reazionario». «Sei il solito str...».
Siamo finalmente usciti e la mia amica mi interroga sullo stato dellarte e della mente. «Cosè che ti è piaciuto di più?». «LArsenale» rispondo entusiasta. «Sì, ma cosa dellArsenale?» fa un po seccata: «ci saranno una cinquantina di installazioni...». «No, intendo proprio lArsenale in quanto tale. Quelle gigantesche strutture per la costruzione e il rimessaggio delle navi, lantica Polveriera, le Corderie, lintelligenza con cui il bacino interno veniva raccordato con le opere in muratura che ancora lo circondano. Vedendolo si capisce il perché della grandezza di Venezia come potenza marittima. Lunica perplessità sono quelle due barchette che erano proprio in fondo al bacino... Magari saranno state di qualche ufficiale di marina, ma, ecco, stonavano rispetto, che so, ai lanciamissili». Lei alza gli occhi al cielo. «È uninstallazione di Laura Bèlem. Si intitola Enamorados». «Ah, davvero? Devessere unamica di Bruna Esposito, sai lautrice di Precipitazioni sparse, quelle bucce di cipolla su quel marmo... Oppure di Joao Lour, lautore di Blind Image, ricordi? Ma sì, quella tela tutta bianca in plexiglass sotto cui cera scritto che quella era invece limmagine di Brigitte Bardot nuda... Sarà lanima latina a unirli, un po come per i furbetti der quartierino...». «Sei il solito str...» chiude lei. Come darle torto?
Alla 51ª Biennale dellArte di Venezia partecipano 91 artisti di 70 Paesi. Dagli afghani ai venezuelani ci sono tutti o quasi. Aperta lo scorso giugno, durerà sino al 6 di novembre. Il biglietto costa 15 euro, il catalogo 60. La si può visitare in più giorni, prima una sede, poi laltra.
Stenio Solinas
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.