«Mentre gli sparavo, implorava pietà»

Dopo aver ricevuto quattro colpi al petto, Francesco Crisafulli crolla a terra, incapace di reagire ma ancora vigile. Vede Donato Faiella avanzare verso di lui pistola alla mano. E capisce le sue intenzioni. «Pietà, non mi ammazzare». L’assassino gli mormora solo «Cerca di morire da uomo», preme il grilletto e se ne va. Non a costituirsi però, a cercare gli ultimi nemici. «Avevo altri conti da regolare» dirà agli agenti quando lo fermano.
Faiella, 62 anni, detto «Ringo della Comasina», nel suo elenco ne aveva infatti 3 o 4 da sistemare. In cima alla lista Crisafulli, 57 anni, piccolo balordo Quarto Oggiaro originario di Comiso. Con quel cognome infatti hanno fatto «carriera» soli i suoi due fratelli: Biagio «Dentino», 66 anni da scontare, e Alex, un ergastolo sulle spalle. Lui invece è rimasto un balordo di mezza tacca. Entra ed esce di galera dove incrocia Crisafulli che, a quanto pare, gli manca di rispetto. Sui motivi del rancore l’assassino rimane vago: «Era un infame, come tutti i Crisafulli». Infame, nel gergo della mala, significa che ha parlato male di lui o, peggio, ha fatto una spiata alle guardie.
Così domenica sera esce dalla sua casa di via Amoretti, fa pochi passi fino al bar di via Satta dove incrocia il nemico a apre il fuoco. In tutto spara 11 volte, ferendo due innocenti avventori. «No, non c’entravano nulla» ripete più volte lo sparatore. Anche un amico di Crisafulli «Un infame anche lui». Infine eccolo davanti al suo mortale nemico. Partono quattro che colpiscono l’uomo al torace. I suoi ultimi istanti sono descritti dallo stesso Faiella: «Francesco è andato giù, muoveva spasmodicamente braccia e gambe, respirava a fatica. Io gli sono andato sopra per finirlo, lui mi ha visto, ha capito le miei intenzioni e ha iniziato a piagnucolare “Pietà, non mi ammazzare”. Io gli ho detto «Cerca almeno di morire da uomo» e gli ho tirato l’ultimo colpo in faccia».
Un delitto davanti a decine di testimoni ma a «Ringo» la cosa interessa poco. Nel suo delirio appare chiaro che la vita fuori dal carcere, da cui è uscito nel 2003 dopo oltre 25 anni di detenzione, gli è estranea, lontana. Sa già che dopo questo episodio tornerà dietro le sbarre, ma forse è l’unico mondo che conosce e che lo riconosce. Non ha una donna, il figlio abita per conto suo, gli rimane l’onore messo in discussione dai Crisafulli e chissà chi altri.
Faiella infatti non getta la pistola e non va a costituirsi, nonostante sia chiaro che non potrà andare molto lontano: non ne ha le possibilità economiche e forse nemmeno la volontà. Dorme due notti per strada, continuando ad aggirarsi per Quarto Oggiaro.

Fino alla sera di martedì, 48 ore dopo il delitto, quando viene intercettato dagli agenti della squadra mobile diretta da Francesco Messina in via Longarone, davanti al suo solito bar. E quando gli chiedono perché non abbia tentato la fuga è lapidario: «Ne avevo altri da sistemare, li stavo cercando». Chi fossero però Faiella non ha voluto dirlo: lui è un duro e con gli sbirri più di tanto non parla.

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