Mercati «caldi»: Wall Street e l’euro battono i record

da Milano

Negli ambienti industriali italiani serpeggia qualche preoccupazione: l’euro forte rischia di frenare la ritrovata competitività nel nostro sistema. Ieri la moneta europea ha segnato un nuovo record storico su quella statunitense: per comprare un euro occorrono 1,3665 dollari. L’altra faccia della medaglia è positiva: la gran parte delle materie prime, a cominciare da quelle energetiche, è denominata in dollari. L’Italia è un Paese manifatturiero, che trasforma i prodotti di base acquistati all’estero: chi compra in dollari è beneficiato dal cambio. Da parte sua Wall Street ieri ha superato la quota storica di 13mila punti Dow Jones (13.089,08 in chiusura), spinta soprattutto dai positivi dai sugli ordini dei beni durevoli. Secondo il Beige Book della Fed l'economia statunitense nella maggior parte dei distretti attraversa comunque una fase di ripresa «modesta» o «moderata».
L’avanzare dell’euro conferma una tendenza accentuatasi in 12 mesi: la differenza tra le due divise, dall’aprile 2006, è del 10%; un anno fa l’euro veniva scambiato a 1,24 dollari. Un’impennata che, secondo molti commentatori di là dell’Oceano, non si smorzerà; è diffusa la sensazione che, in tempi medi, possa essere raggiunta quota 1,5, livello considerato fortemente dannoso per l’economia europea, che sopra 1,4 comincerebbe a faticare.
Tra le motivazioni di questo andamento, «la principale - sottolinea Mario Spreafico, direttore investimenti di Citigroup Italia - è la situazione delle partite correnti degli Stati Uniti, al cui forte deficit i mercati valutari non si sono ancora abituati. Un’altra causa - aggiunge - sta nei tassi d’interesse: pur essendo, in termini nominali, più elevati negli Stati Uniti, la maggiore inflazione neutralizza a livello reale la convenienza dell’investimento in strumenti finanziari Usa». Anche la Cina ha le sue «colpe»: proprio tra Cina e Usa si registra un pesante deficit commerciale, cioè gli Stati Uniti importano molto di più di quanto esportino nel Paese asiatico. Si aggiunga che l’euro è sempre più utilizzato come riserva nei forzieri delle banche centrali asiatiche.
Il quesito, a questo punto, è il seguente: il cambio rispecchia più la debolezza del dollaro o più la forza dell’euro? Sulla debolezza del dollaro non ci sono dubbi; tuttavia - sottolinea Spreafico - «Eurolandia è più grande, solida e credibile rispetto al momento di avvio della moneta unica».


Quanto alle conseguenze, oltre a quelle già dette (materie prime, export), va segnalato il doppio binario del turismo: l’Italia e l’Europa sono meno attrattive (in termini economici) per i visitatori americani, mentre agli europei conviene recarsi «a sconto» negli Stati Uniti. Infine, che il petrolio ieri sia risalito sopra quota 65 dollari, fa meno paura del passato, visto che il dollaro vale di meno.

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