Mercati Listini ancora in calo

Il «we can» di Obama sullo scioglimento del nodo del debito Usa non basta: al termine di una settimana nerissima, da psicodramma collettivo, le Borse sono ancora lì a contare le perdite. Capaci appena di abbozzare un timido tentativo di recupero nella parte finale della seduta, buono solo per rendere meno amara l’ennesima giornata in cui le bad news hanno finito per prevalere ancora una volta sulle (quasi) inesistenti buone novelle.
Tanto per non perdere l’abitudine, i mercati (-0,67% Milano) hanno ieri subito dovuto fare i conti con la minaccia di declassamento della Spagna da parte di Moody’s, per poi subire - nel primo pomeriggio - la doccia gelata arrivata proprio dall’America con la diffusione dello stato di salute dell’economia nel secondo trimestre. Dopo i toni sempre più prudenti sull’andamento della congiuntura usati di recente dal numero uno della Federal Reserve, Ben Bernanke, un ulteriore rallentamento - dopo quello tra gennaio e marzo - era già messo in conto. Ma nessuno tra gli esperti si aspettava un andamento così lento, quasi un passo da recessione incombente: un +1,3% del Pil contro un aumento previsto dell’1,8%. Ancora più preoccupante, la brusca revisione al ribasso del primo trimestre, quando l’economia è cresciuta solo dello 0,4% rispetto all’1,9% stimato.
Con questi numeri, gli Stati Uniti hanno di fronte un percorso a ostacoli, ben meno agevole rispetto alla ricerca della quadra sulla questione del debito. Che, bene o male, verrà trovata grazie a qualche compromesso. E del resto, a giudicare dall’andamento dei rendimenti sui Treasury bond a 10 anni, scesi ieri sotto la soglia psicologica del 3% a conferma di un appeal tanto inattaccabile da sembrare un paradosso, l’eventualità di un default Usa non sembra spaventare molto gli investitori. Sono piuttosto le famiglie, quelle che magari scontano ancora i postumi della Grande recessione facendo la coda davanti alle agenzie alla ricerca di un lavoro, ad aver perso la fiducia, a credere sempre meno nel sogno americano. Vittime della jobless recovery, nonostante le promesse di rilancio dell’occupazione pronunciate come un mantra da Obama. Quindici milioni di persone a spasso, con un tasso di senza lavoro stabilmente sopra il 9% destinato a restare inchiodato a quei livelli perchè le aziende non assumono, perchè la spesa pubblica tira il freno a causa dei conti federali disastrati e perchè la gente non spende (+0,1% i consumi tra aprile e giugno) non avendo un lavoro o temendo di perderlo. E se un paese che basa il 70% della propria ricchezza sui consumi privati non fa shopping, sono guai.
Qualche profeta di sventura sostiene che le ombre della famigerata double dip recession, ovvero di un secondo tuffo nella crisi, si stanno allungando. Per l’economia mondiale le conseguenze sarebbero terribili, con ulteriori complicazioni per la zona dell’euro. I colpi di scure assestati negli ultimi mesi dalle agenzie di rating ai debiti sovrani dei Paesi periferici non sono finiti con la decisione di ieri di Moody’s di mettere sotto osservazione la Spagna e cinque banche iberiche, incluso il supergigante Santander, numero uno di Eurolandia. Fitch, per esempio, ha avvertito che entro fine anno deciderà se modificare ulteriormente le valutazioni sul Portogallo. La zona euro rimane sub judice, con ripercussioni continue sui differenziali di rendimento dei titoli di Stato. Ieri lo spread Btp-Bund è schizzato fino a 338 punti base, ad appena due centesimi dal top toccato lo scorso 12 luglio, mentre il Tesoro deve pagare sui Btp decennali tassi che sfiorano ormai il 6%.

C’è chi scappa come Deutsche Bank, che si è sbarazzata di 7 miliardi di Btp, ma ci sono anche i moltissimi risparmiatori italiani che stanno resistendo alla tentazione. Sono tanti, perchè quasi la metà del debito pubblico, come ricorda uno studio di Morgan Stanley, è nelle mani di investitori nazionali.

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