Merci avariate e sporcizia: a Chinatown allarme igiene

I dati sui controlli dei Nas dal 2004 nelle attività commerciali cinesi

Alessia Marani

Merci avariate, malconservate, magazzini invasi da topi e sporcizia, cibi dalla provenienza dubbia e studi per la pratica medica completamente abusivi. I dati sui controlli effettuati dai carabinieri del Nas, il Nucleo antisofisticazioni sanitario, da tutto il 2004 a oggi nei confronti di attività commerciali gestite da cinesi nello Stivale, sono allarmanti.
Un’illegalità diffusa e, soprattutto, pericolosa per la salute pubblica, che trova negli esercizi del Lazio e della capitale il suo apice. I numeri parlano da sé. Nelle 249 strutture ispezionate in tutta Italia dal gennaio all’agosto 2005, sono state riscontrate ben 300 infrazioni, di cui 30 di carattere penale e 270 di tipo amministrativo. A partire da settembre, poi, in concomitanza con l’inasprirsi delle ispezioni in chiave di prevenzione anti-influenza aviaria, rispetto ai 188 esercizi passati al setaccio, le infrazioni sono state 231, di cui 61 penali e 170 amministrative. Di queste, nel solo 2005, sono 133 le ispezioni effettuate nel Lazio (a 76 ristoranti, 17 depositi alimentari, 35 rivendite fra supermercati e macellerie, 15 erboristerie), con 165 irregolarità accertate. Sessantaquattro per detenzione di alimenti in cattivo stato di conservazione e perché «insudiciati»; 88 per mancanza di autorizzazione sanitaria e dei prescritti requisiti igienico-sanitari e strutturali; 13 per detenzione di cibi confezionati recanti indicazioni esclusivamente in lingua cinese e sprovvisti di documentazione sanitaria e fiscale. Insomma, un’autentica giungla in materia sanitaria, amministrativa e fiscale accompagnerebbe i business in terra italica messi su all’ombra del dragone. Nel Lazio il valore della merce posta sotto sequestro in quasi due anni di ispezioni incalzate dal ministero della Sanità si aggira intorno agli 892mila euro. A Roma e provincia sono state ben 13 le tonnellate di alimenti che non hanno passato i controlli dei carabinieri: quintali di carne di manzo, pollo e quintali di pesce e preparati pronti per essere venduti sugli scaffali di decine di negozi «etnici» e sulle tavole di ristoranti con la lanterna rossa, completamente fuorilegge. E quando, a ben scartabellare tra i dossier dei Nas, viene fuori la sezione «Risultati dei controlli eseguiti in Roma-Esquilino tra gennaio e novembre 2005», le sorprese davvero non mancano. Anzi. Su 32 attività cinesi controllate (15 ristoranti, 3 depositi di alimenti, 10 rivendite e 4 erboristerie) sono 63 le infrazioni, 26 per cattiva conservazione degli alimenti, 32 per esercizi abusivi, 5 per cibi mancanti di contrassegni a norma Cee. In questo caso sono state denunciate 11 persone, di cui due per avere dato vita a uno studio medico senza alcuna autorizzazione e otto per l’esercizio abusivo della professione sanitaria. Ovvero, un’erboristeria del quartiere umbertino a ridosso di Santa Maria Maggiore, nascondeva in realtà una sorta di struttura sanitaria parallela per la salute e la cura di connazionali residenti a Roma.
«Un precedente pericoloso - spiega il senatore Cesare Cursi, sottosegretario alla Sanità - in un preoccupante panorama di illegalità. Occorre tenere alta la guardia procedendo a continui controlli non solo sulle importazioni, ma sulle gestioni delle attività stesse».
A non sorprendersi sono i residenti della zona, riuniti da anni in più comitati per la tutela e la salvaguardia di un quartiere che sembra ormai stato concesso dalle autorità comunali e amministrative agli stranieri come fosse una sorta di porto franco. «In una decina d’anni - dicono gli abitanti - i negozi italiani sono stati soppiantati da quelli in mano a famiglie cinesi.

Nessun controllo è stato fatto sui capitali utilizzati dai nuovi “colonizzatori” per rilevare le attività autoctone. Né alcunché è stato fatto dal Campidoglio per arginare l’invasione degli extracomunitari all’Esquilino. A essere di serie B, ora siamo noi romani».

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