La Merkel boccia gli eurobond e fa crollare ancora i mercati

MilanoDisuniti alla meta. Come al solito. Chi tira da una parte, chi tira dall’altra. Peccato che legato a questa fune in tensione ci sia il destino dell’euro, in bilico in quella specie di lotteria dei rigori che rischia di diventare il vertice Ue di giovedì e venerdì prossimi a Bruxelles. Già ieri i mercati hanno fiutato il peggio, spargendo ovunque il seme del pessimismo e bocciando di fatto il pacchetto pro crescita da 130 miliardi sbandierato venerdì scorso a Roma dal quartetto Monti-Merkel-Hollande-Rajoy. Il crollo della Borsa di Milano (-4%, 12,5 i miliardi bruciati), il contestuale schiacciamento degli altri listini, l’accartocciarsi dell’euro sotto gli 1,25 dollari e la febbre da spread tornata a riaccendersi, indicano che per scacciare i fantasmi della crisi e di un’estensione del contagio ben altro servirebbe. E la richiesta di aiuti rivolta da Cipro all’Ue, a causa dei problemi del sistema bancario, non ha migliorato gli umori.
Nelle scorse settimane, in modo più o meno formale, sono state squadernate diverse soluzioni per evitare il punto di non ritorno: dagli eurobond nella versione light all’utilizzo del fondo salva-Stati Efsf per calmierare i titoli di Stato in sofferenza; dai project bond fino all’attribuzione di maggiori poteri alla Bce. Alla fine, a pesare sul piatto della bilancia sono però stati i ripetuti nein della Germania. La Cancelliera sa di essere accerchiata. Con l’avvicinarsi della riunione di fine mese, Frau Angela ha infatti cominciato ad agitarsi. Fino a non nascondere più le proprie paure, dicendosi ieri preoccupata che nell’Unione europea ci si focalizzi su «soluzioni facili» alla crisi, come la responsabilità condivisa per i debiti. Il babau tedesco sono gli eurobond, una soluzione «sbagliata sia dal punto di vista politico che economico», ha ribadito la Merkel. Eppure, all’interno dell’Ue, figure di spicco come il commissario europeo alla Concorrenza, Joaquin Almunia, spingono verso una graduale mutualizzazione dei debiti.
Questa spaccatura, difficilmente sanabile nel prossimo vertice, non piace ai mercati. Ancor meno dopo la scoperta che la Grecia non ha perso l’antico vizio di truccare le carte, se - come pare da un rapporto della troika Ue-Bce-Fmi, non confermato però da Bruxelles - il già pletorico apparato statale ellenico è stato gonfiato dall’assunzione di 70mila nuovi dipendenti pubblici tra il 2010 e il 2011. Una bella tegola per un Paese ancora privo di un responsabile delle Finanze (il ministro designato, Vassilis Rapanos, ha gettato la spugna per motivi di salute) e che intende ridiscutere i termini del piano di salvataggio. Ma anche su questo punto, nonostante le aperture di alcuni Paesi (tra cui l’Italia), la Germania è inflessibile: «Non possiamo permettere che tutto venga rinegoziato nuovamente», ha detto il ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle.
C’è poi la partita giocata dalla Bce. Uno dei falchi dell’Eurotower, l’austriaco Ewald Novotny, ha messo ieri in chiaro che la banca centrale «non vuole più comprare bond sovrani». Sono ormai 15 settimane che la Bce non si muove. Così, senza paracadute, ci vuole poco per far decollare gli spread: ieri il differenziale Btp-Bund ha toccato i 455 punti. Non un buon viatico per il Tesoro, che questa settimana emetterà titoli fino a 19 miliardi. Non a caso, i titoli delle nostre banche, nei cui portafogli sono custoditi circa 350 miliardi di debito italiano, sono collassati (-6,9% l’indice di settore). La Spagna è messa anche peggio: lo spread dei Bonos è schizzato a quota 517 dopo che l’Ue ha ricevuto da Madrid la richiesta di aiuti per le banche iberiche.

La cifra sarà inferiore ai 100 miliardi messi sul piatto dall’Europa, ma i mercati temono che, prima o poi, la Spagna sarà costretta a un salvataggio vero e proprio. Moody’s, intanto, affila la scure: il taglio dei rating degli istituti iberici sarebbe solo questione di ore.

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