Dalla Merkel doccia gelata sulle Borse

«È un sogno impossibile pensare che al summit Ue del prossimo fine settimana arrivi un accordo in grado di risolvere tutti i problemi». Angela Merkel sembra avere Penelope come modello cui ispirarsi. È la strategia del fare e disfare, dando un colpo a favore della soluzione della crisi del debito e assestandone poi un altro di segno opposto. A questo modo di comunicare ondivago i mercati non si sono ancora abituati.
Ieri, infatti, le parole della cancelliera tedesca, riportate dal suo portavoce Steffen Seibert, e poi rafforzate da un intervento dello stesso tenore del ministro delle Finanze, Wolfang Schaeuble, sono state accolte con lo stesso entusiasmo riservato a una doccia gelata. Ribassi superiori al punto percentuale a Francoforte, Londra e Parigi, e di oltre il 2% a Milano, danno l’esatta misura dell’impatto avuto sui listini delle esternazioni della cancelliera tedesca.
Un intervento, quello della Merkel, non certo casuale. Nei giorni scorsi si erano create forse troppe aspettative attorno al meeting del prossimo 23 ottobre, alimentate in parte dalle esortazioni ad agire subito rivolte all’Europa durante il G20 parigino. Proprio Schaeuble, tra l’altro, era parso possibilista sul raggiungimento di un’intesa sulla crisi, sulla ricapitalizzazione delle banche e, più in generale, sul rafforzamento della governance europea. Il problema sta però nei tempi necessari per confezionare un accordo. Quell’«agite subito» si scontra inevitabilmente con il maggior ostacolo che ancora impedisce la quadratura del cerchio. Ovvero in che misura far digerire ai privati, cioè agli istituti di credito, tagli sui bond greci superiori al 21% concordato lo scorso 21 luglio. Non appena la Merkel ha fatto cenno al «sogno impossibile» di un’intesa rapida, i titoli bancari sono infatti di nuovo stati investiti da un’ondata di vendite. A Miano, Unicredit è finita in asta di volatilità prima di chiudere a -6,12%, Intesa Sanpaolo ha lasciato sul terreno il 5,3%, Bpm oltre il 4,8% e Mediobanca il 2 per cento.
Due punti rivelano quanto ancora governi e banche siano lontani da una soluzione condivisa. Il primo: la Merkel non vedrà i banchieri prima del vertice di domenica. Il secondo: Berlino avrebbe fatto scendere in campo l’amministratore delegato di Deutsche Bank, Josef Ackermann, per convincere i creditori della Grecia ad accettare una riduzione volontaria pari al 50%. Il governo punta sulla carica che Ackermann ricopre anche come presidente dell’Associazione internazionale delle banche (Iif), ma finora ha incassato solo nein da parte degli istituti. Peraltro fortemente contrari anche a chinare la testa davanti all’innalzamento dei ratios patrimoniali che l’Ue vorrebbe imporre (si parla di un Core Tier 1 al 9%). Sullo stesso versante è attestata la Bce (no a un maggiore coinvolgimento delle banche con i sirtaki-bond), che giovedì terrà la riunione inframensile del consiglio direttivo ormai a pochi giorni dall’insediamento di Mario Draghi alla presidenza. Parallelamente, lo stesso giorno il parlamento di Atene dovrà ratificare le misure di austerità supplementari approntate dal governo, per convincere i partner europei e il Fmi a versare una nuova tranche di aiuti. Se la «frenata» di Berlino sull’accordo anti-crisi trova la spiegazione più logica nelle distanze tra le parti sul debito greco, un’altra interpretrazione è offerta dalla stampa tedesca. Secondo la quale, in base alle previsioni di alcuni economisti, Germania e Francia rischierebbero di perdere il rating a tripla A.

Oltre a scrivere che Fitch sarebbe sul punto di declassare sette tra le maggiori banche, tra cui Deutsche Bank, il quotidiano Handesblatt mette in relazione il possibile downgrade con i costi che le due potenze europee dovrebbero sopportare per finanziare i piani di aiuto ai Paesi sotto pressione (Grecia, Irlanda e Portogallo). Uno scenario che potrebbe irritare ulteriormente l’opinione pubblica tedesca, e frenare appunto la Merkel sulle manovre di sostegno.

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