C'è un mistero e si chiama Milan. E c'è una certezza e si chiama Juve. Ma il bello del calcio dice che basta un gol per mischiare mistero e certezze. Anzi, talvolta per capovolgerli. Il bello del calcio dice anche che val più un colpo di tacco di Menez rispetto a cento cross di Lichtsteiner. Ma è pur vero che con i cross dello svizzero puoi vincere uno scudetto e con i colpi di tacco puoi finire al parco giochi. Quindi meglio sedersi in tribuna, o davanti alla tv, e godersi Milan-Juve senza cercare altre soluzioni calcistiche che non siano quelle del campo.
Visto ad occhio, il galà di San Siro (nessuno potrà mai togliere l'etichetta vip a qualsiasi Milan-Juve) dice che la gente rossonera può perfino permettersi di perdere, tutto il resto sarà plusvalenza: per il momento la squadra di Inzaghi deve solo assestarsi. E la Juve non può permettersi di perdere: altrimenti comincerebbero ad incrinarsi alcune certezze. Una sconfitta capita a tutti. Alla Juve, a questa Juve, in certe partite non può succedere. Il passato pesa, il futuro anche di più. É la legge che attanaglia le grandi squadre. Mentre il Milan per ora ha il rango, o il brand, o il blasone, ma non sappiamo quanto sia grande.
Il Milan è ancora un mistero: nonostante abbia il miglior attacco del campionato, registra anche la peggior difesa. Non lo dicono solo i numeri. E l'equilibrio è la base di ogni successo. La Juve è rocciosa in difesa avendo subito zero gol, ovvero è la miglior difesa, ma non mitraglia a suon di reti, solo il minimo indispensabile per vincere: finora sono stati tre ed hanno portato sei punti, esattamente quanto gli otto rossoneri.
Poi c'è il bello dell'imprevedibile e dell'imprevedibilità. Promette più il Milan in quanto a imprevedibilità, promette più la Juve in quanto a qualità. L'imprevedibilità della Juve sta nei guizzi di Tevez, magari nelle ancora poco conosciute doti di Morata. Quella del Milan ha più aspiranti attori e autori. Pesate le due formazioni, qualità e classe pendono dalla parte bianconera. Ma se qualcuno andasse a riguardare quel Milan e quella Juve che stavano nelle mani dell'Allegri scudettato e del primo Conte juventino, forse farebbe lo stesso ragionamento. Da una parte Ibrahimovic e Thiago Silva, Seedorf, Nesta, Cassano, El Shaarawy e Robinho, Inzaghi e il duro Van Bommel. E con Conte c'erano un Pirlo da rigenerare, un trio difensivo che non pareva il muro di oggi, le scommesse Pepe, Giaccherini, Estigarribia, Matri, l'ondivago Krasic, il misterioso Vidal, l'ultimo Del Piero e De Ceglie, Elia, Quagliarella, oltre a Vucinic e Marchisio. Poi conta anche il manico. Ma chi avrebbe scommesso su quel guazzabuglio di incertezze, a cominciare dal valore dell'allenatore. Questo Milan riproduce qualcosa di quella Juve che, però, nel corso del tempo ha rivelato superiorità accertata. Oggi Allegri è passato sull'altra panca, il Milan ci prova con l'Inzaghi «fatti e pensiero». Non vorremmo che tutti pensassero di ripetere l'exploit che fece il Milan con Sacchi: lo prendi e diventa un fenomeno in panca e la squadra va. Ci fu chi imitò quell'idea e andò al naufragio. Se poi vogliamo riportarci al Milan-Juve grandi firme dovremo aggrapparci a un numero: non tanto il «9» stasera sulle spalle di Torres e Morata, ovvero generazioni spagnole a confronto tra passato e futuro.
Piuttosto a quel «10» che Inzaghi ha destinato a Honda (vabbè il marketing, ma...) e la Juve a Tevez, l'unico che possa reggere il passo con Platini e Sivori, Rivera e Del Piero, Baggio, Gullit e Seedorf. E scusate se Milan-Juve era un'altra storia.
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