Messina, quei funerali senza Napolitano E la sinistra ora accusa il Giornale

Messa per le vittime della frana segnata dall’assenza polemica del presidente imbarazzato col premier. Ma l’opposizione ci processa per aver anticipato la notizia. Tutta Messina piange le vittime della tragedia

Messina, quei funerali senza Napolitano 
E la sinistra ora accusa il Giornale

nostro inviato a Messina

Che la città sia ferita nel profondo lo testimoniano sì i funerali solenni alle vittime della tragedia di Giampilieri e Scaletta Zanclea, che raccolgono migliaia e migliaia di persone al punto da affollare completamente la grande piazza davanti alla cattedrale, ma soprattutto l’aria che si respira per tutta la mattina in una Messina che pare nel giorno del dopo bomba. Con i pochi negozi aperti che hanno le saracinesche socchiuse e con tutti - dall’anziano al bar fino al giovanissimo edicolante - che seguono come fosse una preghiera collettiva la funzione officiata dall’arcivescovo di Messina Calogero La Piana. Chi con la televisione e chi con la radio, sono tutti in chiesa. Dove il dolore composto dei familiari davanti a quelle 21 bare - venti avvolte nel tricolore e una nella bandiera romena - è straziante. Madri, padri e amici sono tutti lì, quasi a farsi forza a vicenda.
Sono funerali solenni con giornata di lutto nazionale quelli di Messina. In prima fila ci sono il presidente del Senato Renato Schifani e il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Mancano all’appello il capo dello Stato e il presidente della Camera Gianfranco Fini che ieri è diventato padre per la terza volta. I ministri Angelino Alfano e Stefania Prestigiacomo stringono mani e provano inutilmente a mitigare il dolore dei familiari delle vittime. La Prestigiacomo in particolare ha parole e tempo davvero per tutti.
Ma è sull’assenza di Giorgio Napolitano che - come per ogni tragedia che si rispetti in Italia - si apre una curiosa polemica. Che coinvolge il Giornale e, guarda un po', Berlusconi. L’accusa è quella di lesa maestà, perché il nostro quotidiano è stato l’unico a sollevare un dubbio che nei palazzi della politica hanno avuto in tanti. A destra, a sinistra e pure sul Colle. L’assenza del presidente della Repubblica, infatti, lascia qualche incertezza, nei modi e nei tempi. Perché se è vero che Napolitano non aveva dato conferma ufficiale della sua partecipazione è altrettanto vero che ha deciso di non venire il giorno dopo la sentenza della Consulta e l’affondo del Cavaliere. «Problemi con una caviglia», hanno fatto sapere dal Colle. Dove ancora ieri sera confermavano però la fitta agenda della settimana: domani interverrà ad un convegno sulla ricerca a La Sapienza di Roma, martedì parlerà alla Scuola dei prefetti, mercoledì sarà a piazza del Popolo per la festa del Corpo forestale, giovedì volerà a Torino dove interverrà alle celebrazioni del centenario della nascita di Norberto Bobbio e venerdì riceverà al Quirinale tutti i premiati del mondo del giornalismo. Insomma, il timore che il capo dello Stato volesse più che altro evitare la foto della stretta di mano con il Cavaliere al momento del rituale «scambiatevi un segno di pace» è quantomeno plausibile.
Invece, dal Pd arriva una levata di scudi che ha l’unica particolarità di mettere per la prima volta sulla stessa lunghezza d’onda i tre candidati alla segreteria del Partito democratico. Pier Luigi Bersani, infatti, punta l’indice contro gli «attacchi feroci e sconsiderati» nei confronti del Colle. Dario Franceschini si distingue e preferisce usare aggettivi diversi: «Attacchi inqualificabili e volgari». Ignazio Marino, invece, punta direttamente sul premier che «disprezza la più alta carica dello Stato». Seguono a ruota Anna Finocchiaro e Vannino Chiti. Con la presidente dei senatori del Pd che attacca il Giornale che «è sceso in campo a sostenere lo scriteriato attacco» al Quirinale e il vicepresidente del Senato che affonda il colpo: «Il Giornale è il braccio, Berlusconi la mente».
Ipocrisie a parte, però, non c’è uno che si chieda il perché di un’assenza tanto rumorosa nonostante l’agenda del Colle di questa settimana fosse a ieri sera ancora molto fitta. Nessuno - almeno pubblicamente - che si domandi perché il capo dello Stato - innamorato da sempre del Mezzogiorno, di Napoli e del sicilianissimo Leonardo Sciascia - non abbia partecipato ai funerali solenni di Messina con tanto di lutto nazionale. D’altra parte, non se l’è chiesto nessuno nemmeno nella maggioranza. Dove il perbenismo istituzionale ha chiuso la bocca a tutti. L’unico - nel senso letterale del termine - che fa un passo in avanti è il vicepresidente dei deputati del Pdl Osvaldo Napoli che punta l’indice contro «certe manifestazioni di indignazione» che «puzzano di ipocrisia lontano un miglio». «Gli attacchi contro Vittorio Feltri “colpevole a prescindere” sono - insiste Napoli - la riprova dell’ideologia totalitaria che ancora guida personaggi come Finocchiaro e Chiti. Feltri è sicuramente criticabile, come lo è ogni giornalista dalla forte personalità, ma la libertà di stampa è un bene da tutelare per tutti». «La conferma del bozzolo leninista in cui vivono racchiusi i vecchi comunisti - conclude Napoli - viene dall’equazione incauta sfuggita a Chiti: Feltri è l’esecutore e Berlusconi è la mente.

Di grazia, chi è il mandante degli attacchi di Michele Santoro al premier? E di Lucia Annunziata? E di Giovanni Floris o di Gad Lerner? O si vuole far passare la barzelletta che siamo in presenza di giornalisti liberi ed equilibrati mentre Feltri è sotto padrone?».

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