Il «metodo Ruby» non è un’eccezione: giusto dare in affido i piccoli rom sfruttati

Milano No, non fu solo la mitica Ruby Rubacuori a evitare di essere affidata a una comunità per ragazzini a rischio. Anche senza spacciarsi per nipoti di Mubarak, e senza necessità di telefonate notturne da Palazzo Chigi, molti altri minorenni accusati di reati hanno seguito esattamente lo stesso percorso della adolescente maghrebina: portati in questura, identificati e riconsegnati senza tante cerimonie ad adulti in grado di prendersi cura di loro.
A raccontarlo con dovizia di particolari è una sentenza depositata recentemente dai giudici della Corte d’assise di Milano, a conclusione di un processo per tutt’altra vicenda: sul banco degli imputati sedevano un folto gruppo di rom, accusati di associazione a delinquere e riduzione in schiavitù, per avere costretto dei loro connazionali a trasformarsi in ladri. Storia cupa e fosca, lontana anni luce dal mondo dorato cui aspirava Ruby. Eppure la sentenza getta una luce interessante proprio sul caso della ragazza marocchina. Perché i giudici raccontano che a Milano, in questura, le cose funzionano esattamente come hanno raccontato l’ex questore Indolfi e gli altri funzionari coinvolti nel caso Ruby: l’affidamento a un adulto è spesso un’alternativa all’invio in comunità protetta. Con il parere favorevole della Procura per i minori, quella di cui fa parte anche il pm Annamaria Fiorillo.
Anzi, nel caso dei piccoli rom, l’affidamento avvenne nonostante, a prenderli in consegna, fossero gli stessi adulti che li avevano mandati a rubare. «I minori - scrivono i giudici - venivano accompagnati presso la Questura di Milano dopo la perpetrazione dei vari borseggi, gli adulti di riferimento in ciascuna occasione solevano recarsi presso i locali della Questura per prelevare i minori ed ottenerne l’affidamento». E ancora: «Assai spesso colti con il provento dei vari furti, ovvero direttamente seguiti, con osservazione visiva, nel corso della esecuzione dei singoli delitti, per quanto realizzato venivano condotti per l’identificazione presso la Questura di Milano, ove, poi, su disposizione del Magistrato della Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minori di Milano, venivano affidati a persone adulte di riferimento dai medesimi minori indicate quali prossimi congiunti».

«Su disposizione del Magistrato della Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minori, i piccoli venivano affidati sempre e costantemente a coloro che essi stessi designavano quali adulti di riferimento, di fatto finendo con l’essere affidati proprio ai medesimi personaggi - siano stati essi legati da relazioni parentali o esclusivamente nomadi - che li sfruttavano, li costringevano al reato, li avevano sottomessi in condizioni di asservimento parificabile alla schiavitù (...). Tale prassi realizzata su disposizione del magistrato della Procura dei Minori aveva finito con il consegnare i minori stessi ai loro aguzzini». A Ruby, insomma, andò decisamente meglio...

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